Varese, adesso facci godere

Basket - Stasera (20.30) la partita che può svoltare una stagione. Ci si gioca l’accesso a una semifinale europea

Quaranta minuti per raccontare un’altra storia, con un finale inaspettato, avvincente, quasi clamoroso alla luce di quello che è stato il piattume letto nelle pagine inziali e centrali del libro. È come se una novella scritta per tre quarti da un bambino di terza elementare fosse stata a un certo punto presa in carico da un Grisham o da un Carofiglio: tutti hanno percepito – meglio: stanno percependo – il cambiamento di stile, la brillante tensione che emerge riga dopo riga, il racconto capace di incollare la vista, la mente, l’anima. Mancano le ultime pagine: chi le scriverà? Il bimbo o l’autore da best seller?

Quaranta minuti per fare pace con il recente passato, con i bocconi amari buttati giù, con il palazzetto vuoto che – seppur diretta e inevitabile conseguenza di scelte, errori e risultati – è stato spesso un colpo al cuore non degno di Varese. La stessa Varese, intesa come pubblico, che oggi deve fare i conti con la sua tradizione, nell’unico modo che conosce per trasformare una serata banale in qualcosa da ricordare: tifando, rendendo il Palawhirlpool una gatta da pelare per gli avversari e una locomotiva di sostegno per i propri nuovi (quelli che ci sono in campo adesso non sono nemmeno parenti di quelli dell’inizio, dai…) beniamini.
Quaranta minuti per onorare, attraverso la “coppetta”, le immagini un po’ sbiadite di ieri, quelle raccontate dai padri e dai fratelli maggiori che hanno superato di molto gli “anta”: sono 21 lunghissimi anni che Varese non arriva in fondo a una competizione continentale (fu la Korac, nel 1985). E non fa nulla se l’onestà intellettuale non permette di cambiare la definizione data alla corrente Fiba Europe Cup, non fa nulla se i Sodertalje Kings, i Magnofit Gussing e anche gli stessi Giants di Anversa non hanno nulla da spartire con gli avversari che hanno costruito la Leggenda di cui questa comunità si fregia: di una gioia sportiva conquistata non si butterebbe via nulla, come si fa con il maiale. Anche, e soprattutto, dopo aver trascorso lustri a mangiare pane e cipolle.Quaranta minuti per non rendere inutile quello che si sta facendo fuori dal campo, cavalcando un sogno parallelo che costa soldi, fatica e impegno. Non sarà solo il parquet ha regalare l’organizzazione delle Final Four alla Città Giardino: nel match dell’assegnazione in canotta e pantaloncini si mette la politica. A contare saranno giochi di potere ben più grandi di Varese e della sua voglia, malefico o benefico sarà il senso dell’opportunità di chi “orwellianamente” comanda davvero. Senza la vittoria, però, non si inizia nemmeno a discutere. Il rischio di gettare alle ortiche un allestimento – fatto di sponsor prestigiosi, eventi collaterali, “fresca” sonante – capace di catturare una città intera e di essere davvero degno di nota è alto, altissimo. Spiace mettere pressione, ma stasera – dalle 20.30 in poi – si decide tutto, anche il futuro societario. Quaranta minuti per capire che senso hanno avuto il primo e il secondo tempo di un film che oggi svelerà la sua conclusione. Quale Varese si materializzerà? Quella che trova in una difesa convinta la benzina per correre e per sgorgare in un attacco con quelle giuste spaziature che armano i suoi tiratori, capaci di triturare i contendenti con percentuali superiori al 40% da tre? Oppure quella soffocata dalla pressione sulla palla (attenzione: i Giants, lo ha dimostrato gara 2, hanno capito che togliere il fiato a Wright significa asfissiare tutta la Openjobmetis), quella che va a sbattere caporiona contro i muscoli dei lunghi belgi, quella che permette agli avversari di segnare 28 punti su 90 da proprie palle perse? Il fattore campo potrebbe avere un certo peso, ancora una volta: nel vuoto di Masnago i biancorossi hanno vinto 8 match su 9 in coppa quest’anno. Dall’altra parte, però, Anversa ha conquistato 5 delle sue gare (su 8) giocate in viaggio. Quale statistica avrà la meglio?

Quaranta minuti per vedere Paolo Moretti sorridere: «Ci sarà tanta emozione – ha detto ieri il coach ai canali social della Pallacanestro Varese – e tanta motivazione da parte mia, di tutti i giocatori e dell’ambiente, perché si tratta di un match che ci può aprire le porte delle Final Four. Questa è una competizione che all’inizio tutti abbiamo un po’ snobbato, ma che ora ci può dare la soddisfazione di partecipare al ballo finale. Sarebbe un grandissimo regalo per noi e per la città, non paragonabile ai palcoscenici europei ai quali è storicamente abituata Varese, ma ugualmente gratificante». Chi per mesi ha trangugiato, sofferto, risposto con il lavoro – e non con i musi – a critiche più puntuali della pioggia pomeridiana a Londra, credendo in una bugia che la sua abnegazione sta trasformando in una mezza verità, si merita tutte le gioie di questo mondo. Quaranta minuti per passare sopra, forse una volta per tutte, a mercenari, prime donne, giocatori scarsi, amanti della marjuana, obbiettivi infranti, cori ricorrenti, viaggi inutili, sconfitte imbarazzanti, carri immobili. Quaranta, fottutissimi, minuti.