Varese – Non era un partita come le altre quella di sabato, ma la numero 700 in B del Varese. Una ricorrenza si è sposata con un episodio che ha permesso alla giornata di entrare nella storia: la pace fra gli ultrà più integralisti e Giulio Osarimen Ebagua, contestato dal precampionato per vecchie ruggini.
«Non ha vinto nessuno – spiega l’attaccante biancorosso – o meglio abbiamo perso tutti in quella notte d’agosto in cui io non dovevo avere la reazione che ho avuto e loro non dovevano tirar fuori quei cori. Non mi lamento se mi insultano o mi chiamano mercenario ma non tollero altre intimidazioni perché nelle due stagioni in cui ero già stato a Varese non avevo mai sputato addosso al club per cui avevo segnato 28 gol».
L’attaccante nigeriano si riferisce alla partita di coppa Italia con il Pontisola, al suo dito medio alzato verso i contestatori e ai «tornatene in Africa» che non hanno fatto onore a una parte di stadio. Ebagua (che quando Neto Pereira è stato sostituito ha portato la fascia di capitano) spiega la scelta di
correre sotto la curva subito dopo aver confezionato il momentaneo vantaggio con l’Empoli: «È stato un moto spontaneo. Da qualche partita non sentivo più i cori fastidiosi nei miei confronti e allora ho voluto esultare insieme ai tifosi per far capire che rispetto la città e questa maglia per cui desidero impegnarmi al massimo».
Ebagua fa capire che i colori biancorossi sono nel suo cuore: «Se fossi alla fine della carriera direi che il Varese è tutta la mia vita e punterei a scalare la classifica dei marcatori della squadra, ponendomi l’obiettivo di arrivare almeno a 70 gol. Per il momento ne ho segnati la metà: 35 e spero di arrivare presto ai 40 o, meglio, ai 50. Ho un rammarico: non essere rimasto a Varese l’anno scorso perché avrei potuto incrementare ulteriormente il mio bottino. Ma oltre a queste soddisfazioni ce ne sono altre che mi auguro per la mia carriera come quella di giocare in serie A».
Sulla squadra e la sua identità ha le idee chiarissime: «Il Varese è fatto di uomini che hanno voglia di giocare a calcio e di onorare la maglia che portano. Sono uomini che hanno valori importanti anche nella vita e che sono determinati ad arrivare in alto per farsi conoscere. Questo è stato sempre il Varese che, allora, non è solo Ebagua e Neto Pereira. Noi siamo sulla bocca di tutti perché siamo i finalizzatori di cui si parla molto. Ma il Varese è anche Bressan, Troest, Corti e Fiamozzi, che rappresenta i tanti giovani biancorossi in grado di esplodere e diventare giocatori veri. Il Varese è una società che da tre anni sta ai vertici della B e che deve sapersi comportare come una società importante».
L’intervista completa sulla Provincia di Varese di oggi, martedì 9 ottobre
p.rossetti
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