VARESE Adrian Banks è capace soltanto di sorridere: di sorridere mentre si allena, di sorridere mentre gioca, di sorridere alla vita. Sorrisi contagiosi di chi ama quel che sta facendo, e affezionarsi a un giocatore così diventa quasi automatico.
«La pallacanestro – dice – per me è sempre stata divertimento, gioco, gioia: questo mi hanno insegnato, e questo cerco di trasmettere ogni volta che prendo in mano un pallone. La gente che va a vedere una partita vuole divertirsi e vuole vedere uno spettacolo, ed è difficile far divertire gli altri se tu per primo non ti stai divertendo». Parlata da ragazzo americano, slang, retaggi di gioventù fatte di playground e partite giocate per strada: «Sono nato in una palestra, praticamente: mio padre ha giocato a basket per l’università di Memphis, e mi portava sempre con lui. I miei primi ricordi sono quelli di un bambino seduto in panchina di fianco al papà, voglioso di imitarlo e di diventare come lui».
Non c’è solo l’NbaSogni, castelli, aspettative: «Ogni ragazzo americano che sappia giocare più o meno bene a basket, sogna la Nba: è naturale, ovvio, e io non faccio certo eccezione. L’ho sognata, l’ho voluta, ho pensato fosse qualcosa di raggiungibile fino al secondo anno di università: poi ho capito che il basket non è solo Nba, che
c’è altro, ho rivalutato l’Europa». Ed ora, eccolo qui: a Varese, a cercare di far felici le persone. «Questa ora è la mia casa, il mio presente, il mio futuro: non c’è un altro posto al mondo dove vorrei stare, e credo che qui si stiano verificando le condizioni perfette. Perfette per cosa? Questo ancora non lo so».
Di sicuro c’è che Banks è un ragazzo felice, entusiasta, stupito: «La parola giusta è un’altra: eccitato. Perché io non avevo mai provato certe sensazioni, non sapevo fosse possibile giocare in un palazzetto così caldo, avvolto da tanto entusiasmo. L’anno scorso ho giocato in Israele e laggiù i tifosi sono appassionati, ma qui è tutta un’altra storia: non ci sono parole per descrivere quello che succede qui. Io telefono a casa mia praticamente tutti i giorni e provo a spiegare l’atmosfera che si vive durante le partite ma non ce la faccio, non trovo il modo, non trovo le espressioni giuste perché mi sembrano tutte troppo deboli. E allora la mia famiglia verrà qui a trovarmi: mia mamma e mio figlio Adrian Junior, a fine mese, saranno a Varese: così capiranno. So soltanto che è bellissimo, e che i nostri tifosi sono pazzeschi: il mio preferito è quel ragazzo in curva con il cartello “Money in the Banks”. Lo voglio conoscere, voglio una foto con lui».
Banks è follia applicata alla pallacanestro: salti, schiacciate, e un corpo pieno di tatuaggi. «Non c’è più spazio, ne ho talmente tanti che ho perso il conto: ho iniziato a tatuarmi da ragazzo e non ho più smesso, è diventato un hobby e una parte di me. Mi piace l’idea di fare qualcosa che resti per sempre, di scrivere sul mio corpo quello che penso e di disegnare le mie emozioni».
«Qui qualcosa può succedere»
Emozioni, basket, Varese: «Non abbiamo ancora perso perché abbiamo sempre cercato di vincere, e abbiamo alle spalle un grande segreto. Quale? Siamo un gruppo pazzesco, amo ognuno dei miei compagni, e noi giochiamo bene perché stiamo bene insieme. Poi, siamo anche una grande squadra: tutti siamo complementari, tutti utili».
E intanto, la gente sogna: «La gente sogna, come noi e come me: io ho un sogno, quello di vincere un campionato prima di finire la mia carriera. Finora ho giocato solo in squadre che si sapeva non avrebbero mai potuto vincere, bene che andava saremmo arrivati terzi o quarti: per la prima volta nella mia vita so che qui, qualcosa, può succedere. I sogni a volte si avverano».
Francesco Caielli
a.confalonieri
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