Profumo di Varese nell’aria, sull’erba, nel tunnel del Franco Ossola. Centinaia allo stadio il sabato pomeriggio, tra bimbi e famiglie, e nei capannelli in campo (D’Aniello-Landini-Lo Nero) e dietro la rete (Piddu-Ernesto-Andrea Luoni) manca solo che spunti Sogliano come nel 2004. Nella prigione delle penalità, l’incoscienza della libertà. Può solo andare meglio di così perché quando non vedi futuro, te lo devi costruire da zero.
Abbiamo rivisto Lucio Sessa in mezzo al prato dello stadio a parlare con il direttore Spartaco Landini, per poi fiondarsi a vedere chissà quale giocatore in Lega Pro, e sembrava d’essere tornati per un attimo alle origini, quando il Varese non sapeva dove sarebbe arrivato ma riusciva ad aggrapparsi solo a passione, competenza, mani nude ma pulite. Come se l’unica salvezza fosse nell’aria, nei gesti, nei volti prima ancora che sul campo e soprattutto dietro la scrivania, dove la partita da giocare è quasi impari.
Si profila il sentore dell’ignoto, ma un ignoto da plasmare, come quando finisce una guerra e puoi solo ricostruire (certo, prima dev’esserci una risposta finale all’ultimo snodo: entrano soci – ma soci veri, non fantasmi pakistani – capaci di evitare in poche settimane con almeno mezzo milione altre penalità oltre al -4 in arrivo, o Laurenza dovrà ammettere di non farcela più e consegnare le chiavi o i libri?).
Bettinelli prima attira tutte le ire su di sé in conferenza stampa, evocando nemici e cercando quasi il contatto fisico con le critiche per esaltare e chiudere sotto una campana la purezza del suo gruppo, poi si scioglie davanti a due ragazzi che gli chiedono di registrare un messaggio da regalare ai gemelli Pietro ed Edoardo Tres che compiono 18 anni. «Difendete il vostro sorriso – dice il Betti – è la cosa che manca a noi grandi. E mettete ancora i vostri bigliettini nella mia cassetta delle lettere prima delle partite importanti: sono veri, sono i vostri sogni e portano lontano». Il resto, vorrebbe aggiungere, sono cazzate.
Poco prima il ds Landini – sempre sotto il tunnel – si era stupito ed entusiasmato nonostante cinquant’anni di grande calcio per sentirsi uomo-spogliatoio «e soldato di quest’esercito complice anche quando è a tavola». Qui, tra le mura bianche e rosse nel sottosuolo di Masnago, c’è una squadra isolata dalle “schifezze”, che si sente amata, che si aiuta e sta bene assieme, contenta di chiamarsi Varese anche mentre qualcuno si vergogna per i suoi ex dirigenti. Qui non c’è vergogna, e vedere il capo della curva parlare con i tifosi della tribuna all’allenamento fa battere il cuore come nell’agosto 2004: tutti remano dalla stessa parte, e così il piccolo Varese batterà il resto del mondo.
Ps: vedere la Primavera crollare contro l’Entella, o le altre giovanili sul fondo, stringe il cuore. Erano il nostro fiore all’occhiello e stanno appassendo: perché? Andrea Confalonieri