Vavassori e la Pro, tutta la verità “Mi guida mia moglie da lassù” 

BUSTO ARSIZIO La passione e la missione. Due sostantivi che non fanno solo rima, ma spiegano Pietro Vavassori e la Pro Patria. Sono inutili enfasi o retoriche. Non fanno parte del bagaglio di un personaggio che vuole modellare una creatura per il suo amore verso il gioco del calcio, sulla spinta di chi oggi non c’è più e gli affida un’eredità che il patron sente come un dovere da valorizzare. Gli si strozzano le parole in gola ed è solo con un filo di voce che dice «se non me l’avesse chiesto una persona a

me vicina che non c’è più (“prendila Pietro”, mi disse), non so se sarei andato avanti».A distanza di quasi sei mesi Vavassori è convinto della scelta perché non è mai stata un obbligo, ma il coronamento di un sogno che coltivava da giovane: dirigere una società di calcio. Il termine della prima parte della stagione è l’occasione per tracciare un prima bozza di bilancio di quest’esperienza. Vavassori è diviso nei suoi pensieri e nel suo stato d’animo perché «dal lato sportivo sono al diciottesimo cielo, da quello umano ho dentro ancora molta amarezza».

Cosa l’ha più ferita?
Un atteggiamento strumentale non solo nei miei confronti, ma verso i miei collaboratori e la squadra. Un comportamento irriguardoso verso chi aveva appena preso la Pro Patria e stava vivendo un momento personale molto difficile.

Non ha ancora metabolizzato quell’enorme pessimismo iniziale.
Non ho percepito rispetto nei giudizi verso chi stava costruendo la squadra. Volevano darci consigli, suggerirci personaggi. Per quale motivo? Noi volevamo chiudere con il passato e guardare avanti perché avevo e ho dei collaboratori capaci come poi i risultati hanno dimostrato.

Si è sentito solo?
I politici si sono persi nelle nebbie della Padania. Gli imprenditori? Non ho visto nessuno.

Se permette, non dice nulla di nuovo…
Mi chiedo dove sono finiti coloro che lo scorso anno si sono fatti pubblicità gratuita sui giornali. Erano spaventati dai costi e la situazione societaria non era chiara. Ho fatto il lavoro sporco liberando la società da tutti gli impicci. Mi avevano promesso che solo con la chiarezza sarebbero entrati nella Pro Patria. Dove sono finiti? Li sto ancora aspettando.

Guardi alla squadra che le dà soddisfazioni.
Sicuramente. Ma noi siamo un gruppo che ha un progetto e un obiettivo: vogliamo creare un zoccolo duro col settore giovanile che possa esistere a prescindere da chi sia il patron.

Quindi servono anche strutture.
I campi di calcio non ci saranno nemmeno per la prossima stagione. Ed è costoso girovagare tra Pero, Turbigo e chissà dove. Ma è infruttuoso anche dal punto di vista tecnico perché l’allenatore della prima squadra non può vedere accanto ai grandi i giovani del vivaio.

Dei tifosi che dice?
Splendidi.

Ma anche una buona parte di loro le ha tirato bordate fino a qualche settimana fa.
Perché erano disinformati. Quando hanno conosciuto le cose, hanno capito.

Quanto la stimola sapere che qualcuno di caro dall’alto le dà una mano?
Tantissimo: sono qui per mia moglie che mi ha affidato una missione educativa e sociale.

Se avesse saputo dei tredici punti di penalizzazione a luglio, avrebbe preso lo stesso la Pro Patria?
Assolutamente si.

Sicuro?
In estate si diceva che sarebbero stati dieci. Quindi…

Il numero tredici a cosa la fa pensare?
Una volta col 13 si vinceva al totocalcio: spero che alla fine non sia quello l’effettivo numero dei punti in meno della Pro Patria.

Pensa al ricorso al Tnas?
Penso che le regole vanno rispettate, ma occorre anche un po’ di equità nel valutare le situazioni.

Dopo la terza penalizzazione ha pensato al complotto?
No: la Pro Patria si è trovata nel momento sbagliato al posto giusto.

Come definirebbe la sua esperienza alla Pro: un’avventura, una storia o una pazzia?
Di certo non è un’avventura. La ritengo una storia che spero non arrivi alla pazzia.

Se dovesse accorgersi che potrebbe diventarlo?
Uscirei dallo Speroni lasciando però i conti a posto.

E per evitare che non si arrivi a questo gesto estremo?
Va allargata la base societaria e sconfitto lo scetticismo dei bustocchi. Sappiano tutti che non sono alla Pro Patria perché ho interessi nei centri commerciali o cose simili. Ho preso la Pro Patria per amore di questa maglia e vorrei che ci fossero altre persone con me: allora potremmo evitare di porci limiti, sempre tenendo conto che Busto Arsizio non è Madrid.

È Natale: che messaggio vuol mandare a Cusatis?
Gio, devi crescere: anche nelle dichiarazioni.

L’ha mai messo in dubbio quando la Pro non girava?
Mai. Cusatis non ha mai avuto la valigia in mano. Ho sempre creduto in lui e nella squadra. Bastava solo attendere che si amalgamasse. Ci vogliono nove mesi per far nascere un bambino: volevamo dare tempo a questo gruppo di conoscersi?

Se le dico rombo, pensa al pesce o alla figura geometrica?
Prima di tutto penso al pesce e le consiglio di mangiarlo chiodato al rosmarino: è delizioso. Il pensiero imediatamente successivo è per la Pro Patria e il suo modulo di gioco.

Scaramantico?
Non lo ero ma lo sono diventato per gioco.

Dicono che lei azzecchi i risultati: leggenda?
Tutto vero. Ho sbagliato solo quello con il Santarcangelo, però ho indovinato i diciotto punti del girone di andata. Che poi sono trentuno, e saremmo nei playoff. Poi noi eravamo quelli scarsi…

La parola gufi le fa pensare ai cabarettisti degli anni settanta?
No, penso ad alcune persone.

Uno stimolo per il direttore generale Ferrara?
Deve migliorare nell’aspetto gestionale e della comunicazione. Tecnicamente è bravo, ma per qualcuno era un dilettante.

È tempo di mercato.
Abbiamo già fatto quattro acquisti: Viviani, Ghidoli, Cozzolino e Chiodini. Sul primo, mi fido di Ferrara. Degli altri tre dico questo: Ghidoli deve far girare la chiavetta, Cozzolino si è riposato nel girone di andata e Chiodo ha i numeri per essere un giocatore vero.

Cosa le piace di più di questa Pro?
L’unità societaria e tecnica. Un pensiero unico da parte di uomini che hanno dei valori. E questa è la ricetta vincente.

Giovanni Toia

a.confalonieri

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