Frontalieri, la Lombardia non fa marcia indietro: confermata la tassa sanitaria del 3%
È ufficiale: durante l’incontro del 22 luglio con i rappresentanti di CGIL, CISL e UIL, Regione Lombardia ha ribadito la volontà di introdurre la cosiddetta “tassa sulla salute” per i vecchi frontalieri, ovvero i lavoratori italiani impiegati in Svizzera già prima dell’accordo fiscale bilaterale del 2023. Il contributo sarà obbligatorio e la tariffa iniziale sarà pari al 3%, nonostante le forti critiche sollevate da sindacati, esperti legali e frontalieri stessi.
La misura, prevista dalla legge di bilancio 2024, si presenta come un contributo a favore del Servizio Sanitario Nazionale, ma in molti la considerano una vera e propria doppia imposizione mascherata. A oggi, la tassa non dispone ancora di un quadro attuativo: mancano infatti il decreto operativo, le modalità di riscossione e un sistema di identificazione dei contribuenti, elemento reso ancora più complesso dall’assenza di uno scambio automatico di informazioni fiscali tra Svizzera e Italia per i lavoratori già attivi prima del nuovo accordo.
I sindacati italiani hanno chiesto con forza di trasformare l’obbligo in una forma di contributo volontario, evidenziando il rischio di incostituzionalità e sollevando dubbi sulla legittimità del provvedimento. Dello stesso avviso anche l’OCST, il sindacato svizzero che rappresenta i frontalieri: secondo l’organizzazione, la tassa è iniqua – poiché non considera i ristorni fiscali già versati dalla Svizzera all’Italia – ingiustificata, in quanto smentita dallo stesso Ministero della Salute nel 2016, e potenzialmente illegittima, perché violerebbe l’accordo fiscale che attribuisce alla Svizzera la competenza esclusiva sull’imposizione dei redditi dei vecchi frontalieri.
L’unica apertura concessa dalla Regione riguarda la promessa di destinare il 30% del gettito a un fondo di welfare territoriale dedicato ai lavoratori di confine. Un gesto che, seppur apprezzato, non risolve il nodo principale: l’equità fiscale e il rispetto degli accordi internazionali.
Nel frattempo, cresce la mobilitazione sui territori. Nuove assemblee informative sono state annunciate nel Luinese e in altre aree di confine, per aggiornare i lavoratori sulle evoluzioni della vertenza. Si teme che la mancanza di strumenti operativi e un possibile sistema di autocertificazione poco solido possano generare confusione, contenziosi e disuguaglianze.
Mentre la Lombardia va avanti per conto proprio, Piemonte e Valle d’Aosta – anch’esse interessate dal fenomeno del frontalierato – non hanno ancora preso posizione. Una disomogeneità che rischia di aggravare ulteriormente l’incertezza normativa e i disagi per i cittadini coinvolti.
Nel frattempo, i vecchi frontalieri continuano a rivendicare il proprio ruolo fondamentale nel tessuto economico e sociale delle aree di confine: lavoratori che ogni giorno varcano la frontiera per sostenere famiglie, comunità e servizi, e che ora chiedono solo trasparenza, ascolto e rispetto.