«Via gli scudetti a Siena. L’avevo detto»

La società di Minucci, accusata di frode sportiva e bilanci falsi, rischia di vedersi revocare sei titoli. L’onorevole Giorgetti a suo tempo aveva denunciato le irregolarità: «Vincevano e poi ci sfottevano»

Perdere è brutto e fa male, ma nello sport ci sta: insomma, fa parte del gioco. Scoprire di essere stati sconfitti con l’inganno e la truffa, invece, no: non ci sta, è inaccettabile, un sogno che si spegne e cade per terra facendo fracasso.

Gli indimenticabili di Vitucci quello scudetto lo persero contro Siena, una drammatica semifinale durata sette partite e finita male, che se ci fosse stato in campo Dunston altro che. Quella Siena che ora non c’è più: cancellata dal cielo della pallacanestro italiana, spenta dalle bugie di bilanci truccati e frodi sportive. Notizia di ieri: a quella Siena potrebbero revocare sei scudetti, compreso quello del 2013. Nessuno restituirà a Varese quel sogno, ma una magra consolazione resta a mitigare la rabbia.

Qualcuno oggi può alzare la mano e gridare: «L’avevo detto». Quel qualcuno è l’onorevole leghista Giancarlo Giorgetti, che in più occasioni si era scagliato con forza per denunciare quel che stava accadendo. «No – ci confessa – non c’è nessuna soddisfazione nel dire “l’avevo detto”. Tutto era noto e risaputo, oggi resta dentro solo tanta amarezza. Perché tutti vedevano che il sistema era drogato eppure nessuno ha fatto nulla, ha lasciato andare avanti queste bugie come se nulla fosse, alla faccia delle altre società che spendevano soldi e investivano in uno sport finto. È una cosa brutta, triste: revocheranno i titoli che non potranno essere riassegnati, hanno ammesso che tutto era falsato. No, non è una consolazione».

Anzi, forse la rabbia aumenta se si pensa che tra le vittime di questo sistema c’è anche Varese: «Ma io penso anche a Cantù che contro Siena ha perso fior di serie playoff, penso a Milano che ha speso una barca di soldi ed è sempre stata sconfitta in finale. Per sei, sette anni si è andati avanti in questo modo, e ritengo che sia inaccettabile. Le scuse, non bastano». Le notizie raccontano anche del coinvolgimento di Simone Pianigiani, coach di quella Siena prima di sedersi sulla panchina della Nazionale: possibile? «Non lo so e non mi interessa, probabilmente lui si limitava ad allenare e non aveva alcun ruolo amministrativo. Ma la questione qui è un’altra: che le cose non fossero per nulla trasparenti era chiaro a tutti, eppure nessuno ha fatto nulla. Noi abbiamo cercato di denunciare la cosa con delle interrogazioni parlamentari, Milano ha prodotto un dossier dettagliato in cui si spiegava chiaramente quel che stava succedendo. La Federazione avrebbe dovuto fare un’inchiesta per chiarire le cose. Invece, nulla: Petrucci si limitava a non incrociare Minucci quando doveva premiarlo, tutto qui».

Ed è davvero singolare che la giustizia sportiva arrivi così, con tanto (e colpevole ritardo). «In effetti è molto strano – commenta Giorgetti – perché solitamente la giustizia sportiva è fin troppo rapida nel sentenziare le sue condanne. Siamo abituati al calcio, per esempio, dove la giustizia sportiva è molto più rapida di quella ordinaria. Qui invece è successo il contrario: chissà perché». Resta l’amarezza di quei sogni infranti, uno scudetto sfumato per un polpaccio di Dunston ma non solo. «E – conclude Giorgetti – resta la rabbia. Perché quelli di Siena vincevano e poi si lasciavano andare a comportamenti strafottenti che venivano visti da tutti ma comunque tollerati. Noi di Varese, in quelle partite di semifinale, abbiamo visto di tutto. E quando ci incazzavamo ci facevano passare per deficienti visionari».