Drammatica. Raggelante. Profondamente vera.
È la testimonianza di un ragazzo di soli 15 anni e mezzo, residente nella provincia di Varese, che ha condiviso pubblicamente il suo vissuto di dolore e rinascita: 18 mesi in comunità per liberarsi dalla dipendenza da cannabis e cocaina. Alle spalle, un tentativo di suicidio all’età di appena 12 anni, sventato grazie al tempestivo intervento all’Ospedale Del Ponte.
Non un caso ai margini della società, ma un adolescente come tanti.
A raccontarlo è lo psicologo Simone Feder, che lo descrive come un ragazzo di “buona famiglia”, cresciuto tra comfort e isolamento emotivo. «A patatine e iPhone», dice amaramente, a sottolineare un’infanzia segnata non dalla povertà materiale, ma da un vuoto relazionale che chiama in causa genitori, adulti ed educatori.
La sua voce si è levata forte alle Ville Ponti di Varese, nel corso del convegno-maratona “Tessere la rete. Approcci preventivi e integrati contro le dipendenze giovanili”, promosso dal prefetto Salvatore Pasquariello, con il supporto della Provincia, della Regione Lombardia, dell’Ufficio Scolastico Territoriale e della Camera di Commercio.
Emergenza dipendenze: numeri allarmanti e nuove sfide
Il neurochirurgo Giulio Maira ha tracciato un quadro inquietante: in Italia circa sei milioni di persone consumano cannabis. Tra gli studenti, si parla del 28% di utilizzatori, con un preoccupante 10% che sviluppa dipendenza. L’età del primo contatto? Sempre più bassa, tra i 9 e i 10 anni.
E poi c’è un’altra droga, più silenziosa ma altrettanto pericolosa: gli smartphone.
Maria Pierro, Rettrice dell’Università dell’Insubria, ha definito l’abuso digitale come una «prigione senza muri»: videogiochi e smartphone generano ansia, insonnia, calo dell’empatia e una perdita di concentrazione. “Effetti – ha spiegato – che a livello neurologico ricordano quelli della cocaina”.
Un grido d’allarme e un invito all’azione
Il convegno ha avuto un messaggio chiaro: la prevenzione deve cominciare ben prima della crisi, con un lavoro culturale, educativo e comunitario. L’isolamento dei ragazzi, le dipendenze vecchie e nuove, il vuoto affettivo e relazionale non possono più essere ignorati.
E il racconto di quel ragazzo di Varese, sopravvissuto alla sua notte più buia, dovrebbe restare impresso nella memoria di chiunque abbia responsabilità educative.