Meta introduce il modello “Consenti o Paga”: la privacy diventa una scelta a pagamento
Stai tranquillamente scorrendo il feed di Facebook quando una finestra a comparsa interrompe la navigazione: “Controlla se possiamo trattare i tuoi dati per le inserzioni”. Il tono è educato, ma il messaggio è chiaro: da oggi, continuare a usare i social gratuitamente significa accettare la profilazione pubblicitaria. In alternativa, si può scegliere un abbonamento a partire da 7,99 euro al mese.
Nel popup si legge: “In precedenza, ti abbiamo chiesto il consenso al trattamento dei tuoi dati personali per le inserzioni personalizzate”. Ma ora Meta rilancia, appellandosi alle leggi europee: “Ti invitiamo a rivedere la tua scelta relativa alle inserzioni”. In altre parole: “Noi ci stiamo solo adeguando”.
Due strade possibili, nessuna completamente neutra
Gli utenti si trovano di fronte a un bivio: sottoscrivere un abbonamento mensile (che può coprire tutti gli account di un singolo utente) oppure continuare a usare i servizi gratuitamente, ma autorizzando l’uso dei propri dati per la pubblicità. La scelta, presentata come volontaria, è in realtà obbligatoria per continuare a utilizzare la piattaforma.
E se non si vuole scegliere? C’è anche l’opzione finale, senza appello: “Puoi scaricare le tue informazioni e abbandonare i nostri servizi”. Un addio poco elegante a quasi vent’anni di vita digitale, da archiviare come un vecchio album di foto.
Instagram non fa eccezione e la misura potrebbe non fermarsi all’Europa
La stessa procedura è stata estesa anche a Instagram, dove la navigazione viene bloccata fino a quando l’utente non prende una decisione. Meta giustifica questa mossa come una risposta obbligata alle pressioni della Commissione Europea e alle recenti sentenze della Corte di Giustizia UE, in particolare per rispettare il nuovo Digital Markets Act. Il modello “consenti o paga” sarebbe quindi un modo per garantire formalmente un consenso libero, anche se la sua effettiva libertà è oggetto di dibattito.
Nonostante si tratti di un adeguamento alle norme europee, Meta ha annunciato l’intenzione di estendere il modello anche nel Regno Unito. Un segnale che lascia intravedere una strategia più ampia, forse globale, che potrebbe ridefinire in modo permanente il rapporto tra piattaforme e utenti.
Privacy a pagamento? Le critiche non si fanno attendere
Meta difende la propria scelta parlando di “un equilibrio tra diritto alla privacy e offerta di servizi gratuiti finanziati dalla pubblicità”. Tuttavia, molte voci critiche – esperti, attivisti, associazioni per i diritti digitali – vedono nella proposta una sorta di ricatto. Per esercitare il proprio diritto alla protezione dei dati, l’utente deve pagare. Ma se la privacy diventa un bene a pagamento, può davvero essere considerata un diritto universale?
Una nuova era per i social
Questo nuovo scenario segna un punto di svolta. Non è solo un aggiornamento delle condizioni d’uso: è l’inizio di un cambiamento profondo. La scelta che oggi viene imposta agli utenti europei potrebbe diventare il modello standard per tutti.
E mentre qualcuno intravede un’occasione per rendere i meccanismi delle piattaforme più trasparenti, altri vedono profilarsi all’orizzonte un futuro in cui la privacy diventa un privilegio – non più un diritto – e in cui la gratuità dei social ha un prezzo ben nascosto.