Van De Sfroos a Varese RIVIVILO CON LE IMMAGINI

VARESE I pirati vegnüü de Varees e srotolano un gagliardo striscione a metà platea con tanto di tigre di Mompracem in bella vista. Si parte con il palco tutto viola e la voce ipnotica di Roberta Carriera, con un vestitino stile Amelie e un senso del ritmo da Magic Johnson sotto canestro. Una vocalist così ce l’hanno in pochi, ma Van fa il sornione e lo “sciamano”, assecondando l'”invocazione” di Roberta e incominciando l’affabulazione serale con il pubblico,

tra un ricordo e una citazione televisiva, prima di infilare come perle le canzoni di “Yanez”, padre, amico, leggenda oltre i confini del tempo. La voce c’è tutta, anzi è ancor più scartavetrata, catramosa e graffiante, Davide racconta come uno qualsiasi di noi seduto davanti alla tv, ma il suo turco da Guinness dei primati che entra nove volte in una tazza del cesso assume dimensioni mitologiche, epocali, soprattutto se seguito dalle note quasi solenni di “Pulènta e galèna frègia”, con quella “finestra che la sbatt i al” che sembra materializzarsi in un angolino del nostro immaginario. I suoni si arrotolano e si distendono come mossi dalla breva, danzano assieme alle parole e dipingono scenari difficili da dimenticare, dipinti con la forza dei gialli di Van Gogh.

Si perde dietro il filo dei ricordi, Van de Sfroos, con la memoria diventata come “un pedrieou al contrario”, un imbuto che dilata il sentimento spingendolo in ogni direzione. Arriva sbisciolando “Dona Lüserta”, preceduta da una succulenta introduzione e il palco vira in un verde psichedelico, mentre il senso della vita saltella come la coda del rettile strappata, perché, in fondo, «el veent el diis una roba/la loena na dis un’oltra». La vita può essere allora in una macchina ferma, senza tetto né copertoni, che però contiene tutto l’universo dell’adolescenza, con le sigarette fumate di sfroso e l’occhio ai giornaletti «con su le donne nude»: nella “Machina del ziu Toni” si sente la nostalgia per il cortile dell’oratorio, anche se il cuore danza in mezzo alla pista della Zoca de l’oli. Anche sul lago ci sono le donne perdute, anche a Porlezza o alla Schiranna, lo ricorda il lamento rabbioso del violino (superlativo Angapiemage Galliano Persico) e la lutulenta melodia di “Maria”. Prima di “Yanez”, e del Van de Sfroos universale, capace di parlare la lingua dei padri e dei figli, con l’occhio lungo sul mondo, seduto in riva al lago.

e.marletta

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