Vetrine sfondate Ed esplode la rabbia

«Mi viene voglia di cambiare città» si sfoga Enrico Cellerino, titolare del negozio Figini di via Morosini. Nella notte il blitz vandalico: «Mi ha chiamato la polizia alle 2, c’era da aver paura tra balordi e ubriachi»

«Viene voglia di cambiare città» dice titolare del negozio di calzature Figini in via Morosini, che nella notte tra sabato e domenica è stato vittima di un atto vandalico.
«Varese come il Bronx» si sente ripetere sempre più spesso della zona limitrofa alle stazioni, ma via Morosini è pur sempre un’arteria di grande passaggio, che collega le stazioni al centro, chiusa al traffico, e caratterizzata dalla presenza di tanti negozi, tra cui alcuni storici come Figini.
«Erano le 2 di notte e mi ha chiamato la Questura. Con mia figlia all’estero per studio e i miei suoceri anziani, l’ultima cosa ha cui ho pensato è stato il negozio. Mi avvisavano che la pattuglia di notte aveva trovato la vetrina del negozio sfondata. Un atto di vandalismo, perché non hanno rubato nulla», spiega il titolare.

Cellerino con la moglie Roberta si è precipitato in centro, perché il vetro danneggiato era pericoloso, c’erano vetri sparsi ovunque e la polizia invitava a metterlo in sicurezza.
«L’antifurto non è scattato e dunque nessuno si è introdotto nel negozio. La rottura del vetro poi è avvenuta in un modo strano, frastagliato».
«Non riesco a capire come abbiano fatto a spaccare un vetro così grande e spesso, forse con una spranga. Mentre io e mia moglie eravamo lì

a sistemare con cartoni e scotch strong, alle tre di notte, c’era d’avere paura: passavano balordi, ubriachi, gente che non stava in piedi». Sistemato al meglio il buco è scattata poi la denuncia alla polizia con una versione dei fatti del tutto simile a quella appena rilasciata dalla pattuglia di sorveglianza. Ma non è finita qui.
Domenica mattina, dopo le 9, arriva un’altra telefonata a Cellerino sempre da parte della Questura: i cartoni messi per tamponare il buco sono stati rimossi.
La pattuglia della mattina ha potuto constatare che il tamponamento era stato staccato e che occorreva ancora intervenire per mettere in sicurezza la zona. Ancora una volta non manca nulla nel negozio, l’antifurto non è scattato.

La copertura installata sulla vetrina

La copertura installata sulla vetrina

(Foto by Varese Press)

«Questa volta mi sono procurato degli assi di legno per maggiore sicurezza, ho messo un cartello e posizionato una fioriera in modo da mettere una certa distanza nella speranza che nessun altro si avventuri in una bravata. Potrò intervenire in modo definitivo con l’apertura delle attività del lunedì: certo fosse accaduto in settimana avrei potuto chiamare subito i tecnici».
Le lastre restano pericolose, ma se nessuno tocca le assi messe a protezione, nulla può accadere.
Intanto gli accertamenti della polizia hanno evidenziato come le telecamere nascoste in quell’area non consentono di individuare i malfattori e nemmeno le modalità del gesto vandalico: la zona del negozio Figini è in ombra e dunque non si vede nulla.
C’è amarezza e desolazione nelle parole di Cellerino, soprattutto nei confronti di chi gestisce la cosa pubblica cittadina: «Nell’era digitale in cui ogni cosa che facciamo è controllata le telecamere dovrebbero essere un dato di fatto nelle zone più pericolose e deserte della città. Se ci fosse stato il morto nessuno si sarebbe accorto di nulla».

E dunque la soluzione sarebbe un sistema di telecamere di sorveglianza efficiente e ben segnalato in modo da dissuadere i malintenzionati e frenare l’intenzione di qualunque gesto vandalico.
«Invece di comprare la caserma si sarebbe dovuto investire nella sicurezza di Varese. Si sarebbero anche risparmiati dei soldi».