E nella Rete ti scovo la bufala «In Italia serve la formula Usa»

Chi frequenta il web lo sa bene: uno dei problemi a cui si va incontro, con i velocissimi tempi della comunicazione di oggi, è la possibilità di incappare in notizie false, non verificate e, magari, allarmistiche.

Le famigerate «bufale» a cui Paolo Attivissimo, giornalista e blogger italo svizzero conosciuto in rete come “Il disinformatico” ha dichiarato guerra. E ieri l’ha raccontato nella sala Varesevive, nell’ambito del festival GlocalNews.

Collaboratori non assunti

«Il problema della difficoltà nella verifica delle notizie c’è soprattutto in Italia, e per questioni ben precise. Da una parte, non è ancora arrivata la cultura del fact checking: in America ci sono giornali con personale assunto deputato a controllare che i dati riportati negli articoli siano corretti. Ma il problema principale sta nella struttura del mercato del lavoro nell’ambito del giornalismo».

Perché la maggior parte dei giornali italiani, spiega Attivissimo, «sono scritti da collaboratori non assunti, pagati anche solo tre euro ad articolo. Ovvio che, per poter vivere, devono scrivere il più possibile, e il tempo per controllare le fonti non c’è più».Questo, però, porta ad un effetto valanga, perché il lettore di norma si fida degli addetti ai lavori.

«Spende un euro per il giornale e vuole essere sicuro di quello che legge, crede che la fonte sia autorevole. Capita, però, che a volte qualcosa scappi». Ad Attivissimo è capitato in prima persona: un’intervista mai rilasciata, uscita con tanto di virgolettati su un giornale locale del nord Italia. «Ma è il meno dei mali. Il problema è quando le notizie possono destare allarme». Ed è questo il grande buco nero della rete: notizie non troppo verificate, ma allarmistiche, che si diffondono a macchia d’olio nella rete, creando il fenomeno del complottismo.

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