Lettera di una mamma a un bimbo belga non ancora nato

L’editoriale di Laura Campiglio

«Quando sarai grande, figlio mio, non dare loro la soddisfazione di aver paura di quel che è diverso: abbraccia la differenza con tutto il tuo cuore, perché questa è la bellezza del mondo, il fatto che nessuno di noi sia uguale all’altro». Sarà un caso, o forse no, se nel coro confuso di lacrime, grida, chiamate alle armi e dichiarazioni di guerra via talk show, la cosa più sensata sui fatti di Bruxelles l’abbia scritta una futura mamma al figlio che porta in grembo: lei si chiama Alayssia Denis e mercoledì,

mentre la sua città si svegliava nel bel mezzo di un incubo, ha scritto al bimbo che nascerà una lettera piena d’amore, certo, ma anche di buon senso, misura e compostezza.
A pubblicarla è stata la radio belga DH Belgique, e in queste ore in cui sembra davvero valere tutto – dal folle buonismo di chi pretende di capire le ragioni degli attentatori all’allarmismo paranoico di chi vede in ogni musulmano un nemico pubblico – ci sembra giusto dare diffusione alle parole di questa giovane donna, che avrebbe potuto (chi più di lei?) cedere alla paura, alla rabbia, all’odio, ma ha preferito fare quello che tutti dovremmo fare davanti al male: restare umani.
«Ieri dei pazzi, dei mostri ci hanno attaccato – scrive la futura mamma – dicono di averlo fatto in nome del loro dio. Non crederci, figlio mio! Mentono! Lo fanno solo in nome dell’odio. La tua mamma ha amici di altre religioni, molti ti aspettano con impazienza e quando sarà il momento io non avrò paura di metterti in braccio a loro, perché ogni dio e ogni religione predica la pace e la convivenza». E ancora: «Mi dispiace di questo razzismo che prende piede nelle coscienze, mi dispiace che tu non possa vedere il mondo come l’ho visto io, solo amici e amiche con cui giocare senza giudicarne il colore né la religione. Mi scuso con te se le mie braccia non sapranno proteggerti da tutto, ma spero che la mia educazione potrà proteggerti dal razzismo e dalla malafede». Per poi finire così: «Perdonaci, bambino, per la follia degli uomini. Vi lasciamo un mondo uno stato ben cattivo, ma ho fiducia nel futuro: cambiatelo! Rendetelo migliore! Andatene fieri!».
Retorica, si dirà. Forse, ma scegliete allora quale retorica preferite: quella di chi plaude l’umanità di Alayssia o dei bambini di Bruxelles che colorano con i loro gessetti la piazza della Borsa, o quella di chi grida «siamo in guerra» e invoca bombe che nessun esercito saprebbe dove sganciare, contro chi o che cosa. Già, perché il terrorismo islamico è un fenomeno tanto grave quanto complesso: ogni opinione a riguardo dovrebbe muovere da solide nozioni storiche e geopolitiche, oltre che dalla conoscenza degli interessi economici che si intrecciano in Medio Oriente e dei giochi di chi finanzia chi. Se gli strumenti per una fondata analisi economica e politica scarseggiano, non resta che agitare lo spauracchio della guerra di religione, fomentare l’odio, instillare la paura e rincorrere le reazioni di pancia di un elettorato disorientato. È l’ignobile spettacolo che nelle ultime 48 ore hanno dato molti politici, cavalcando senza vergogna il dramma di Bruxelles per lanciare proclami, con TV e giornali a fare come di consueto da tribuna.
Anche la nostra redazione è stata invasa da comunicati: politici nazionali e locali che volevano dire la loro, questo che era appena tornato da Bruxelles, quello che doveva andarci. La nostra scelta è stata di non pubblicarne neanche uno, e di dare ampio spazio alla lettera di Alyssia: una donna di Bruxelles che non vi chiederà mai un voto e che ha dimostrato di avere il coraggio della propria umanità.