L’impronta ciellina in terra bosina

L’editoriale di Max Lodi

Stasera a Varese, Sala Montanari, viene proiettato un video che propone le testimonianze di Cl nel mondo. “La strada è bella”, s’intitola: l’hanno realizzato due note firme televisive, Monica Maggioni e Roberto Fontolan.
L’occasione è data dal sessantesimo di Comunione e Liberazione, un’epoca trascorsa (più epoche trascorse: partenza nel ’54, ascoltando la fascinazione di don Luigi Giussani) a pregare, servire, comunicare. Pregare il Signore che “guardi giù”, su poveri, oppressi, malati eccetera; servire nelle situazioni difficili,

ostiche, disperate; comunicare la generosa disponibilità degli uni verso gli altri. Traducendo: carità, compassione, misericordia. Insomma, cogliere il messaggio vero dell’essere uomini e diffonderlo. A parole e soprattutto coi fatti.
Di conseguenza: impegno sociale, economico, politico. La circostanza dell’evento odierno aiuterà nel ricordo di cos’è stata qui, per decenni, Cl: una presenza forte, viva, marchiante. Ha voluto imprimere di sé l’humus bosino e vi è riuscita.
Ne han dato (ne danno) conferma generazioni di ragazzi cresciute frequentando occasionali “raggi” di Gs divenuti poi, sotto diverso nome, incontri periodici; escursioni di meditazione e svago; confronti in sede scolastica e universitaria; momenti di ricerca comune del significato esistenziale; infine e sempre finalizzazioni alla fraternità.

Una volta, a uno di questi raduni, un improvvisato relatore (si era un po’ tutti relatori di se stessi, con ingenua e arrembante sincerità) osò evocare non un padre della Chiesa, ma l’Inno alla gioia di Schiller, cantato nella Nona sinfonia di Beethoven: “Alle menschen werden Bruder”, tutti gli uomini diventano fratelli. Fu applaudito, e per primo dall’assistente spirituale che evitò d’adontarsi per l’irrituale citazione.
Non lo fece, essendo stato centrato il punto fondante della comunità cristiana, la sua cifra genetica: l’abolizione delle diversità, il loro superamento, l’insediarsi del “noi” al posto dell’“io”. I ciellini vi credono, e offrono regolare attestato della coerenza a una simile idea di fede praticata. Sia ascoltando la vocazione al movimentismo ecclesiale, sia rispondendo alla chiamata dell’impegno civile.
Nella Varese chiesastica raggiunsero l’identificazione piena – complice la leggendaria figura di don Fabio Baroncini – col prevosto Manfredini, anni Sessanta, ma anche il tempo del suo epigono Alberti fu di gratificante contiguità. Nelle pieghe della Varese del “laurà e danée” s’inserirono attraverso l’intraprendenza della Compagnia delle opere.
E nel “milieu” amministrativo han lasciato tracce di storica grandeur, pur se graffiata dalle unghiate giudiziarie di Tangentopoli: due sindaci, il primo addirittura successore del mitico Ossola, numerosi assessori e consiglieri comunali.
E, ancora, un assessore regionale, un componente dell’assemblea del Pirellone, infine il suo presidente.
Per non dire, trasferendosi al campo dell’istituzione parlamentare, delle quattro legislature dell’onorevole Portatadino: un record. Conseguito da una personalità d’alto spessore culturale, rara avis (e rimpianta) nella mediocre palude di Montecitorio, dove da Varese abbiamo inviato – salvo qualche eccezione – non le migliori rappresentatività del territorio. Il contrario della pesca di Cl: mai miracolosa, però spesso di qualità scelta.