Vincere a Varese per andare a Roma. È la metamorfosi della Lega Nord

L’editoriale del nostro Marco Tavazzi

A Varese è nato il sogno dell’Italia federale. Poi quello dell’indipendenza della Padania. E sempre a Varese, dopo queste ultime elezioni, quel sogno si è spento per sempre.
La Lega Nord, con il partito fondato decenni fa da Umberto Bossi, ormai ha in comune solo il nome e il simbolo. Un declino lento e inesorabile, ma inevitabile, fin dal momento in cui la Lega, all’inizio degli anni 2000, decise di tornare in coalizione con il centrodestra.

Da allora non è stata altro che un partito satellite di Forza Italia, cui veniva lasciato solo un “contentino”, negli accordi nazionali, il famoso asse Bossi-Berlusconi: il sindaco a Varese. In questo giro non sono riusciti più ad averlo. Del resto, il centrodestra è cambiato, Forza Italia è andata in crisi e soprattutto la Lega stessa ha subito un cambiamento profondo nel proprio dna politico. Dalle battaglie autonomiste degli anni ‘90, che erano oltre la destra e la sinistra, ha iniziato a trasformarsi lentamente in un partito conservatore, già con Bossi. La recente era maroniana le ha dato, per pochi mesi, una veste di destra non troppo radicale, giusto il tempo di vincere in Lombardia. Quindi, con l’epoca Salvini, è diventata di fatto il punto di riferimento della destra italiana più “dura”, anti immigrazione ed anti europeista. Le battaglie sono quelle di una vera destra: lotta ai clandestini e corsie preferenziali per gli italiani. L’obiettivo è portare a Palazzo Chigi «il Matteo giusto». Vincere a Varese e andare a governare anche a Roma. Qualcosa è decisamente cambiato. Forse hanno scoperto che anche Varese sorge su sette colli?