«Da acqua e fango nasce una speranza»

Fernando Di Cristofaro intervista il guerriero biancorosso Martino Borghese

Contro il Modena ci sarà da lottare con le unghie e con i denti per provare a raggiungerli in classifica. Noi abbiamo deciso di sentire Martino Borghese, il guerriero. Quello che ha saputo – con la sua forza e la sua grinta – annichilire settimana scorsa lo spauracchio Caputo. Quello che domenica sera con i suoi compagni dovrà attraversare lo Stige e scendere tra le fiamme dell’inferno per affrontare El Diablo Granoche.

Sì, è una cosa che avrei voluto fare già a Bologna ma a Masnago, contro il Bari, grazie alla vittoria ho potuto tributare tutta la mia solidarietà a quella splendida terra martoriata da una tragedia enorme, l’alluvione.

A Genova ho vissuto cinque anni strepitosi, ho legato con tantissime persone che tutt’ora sono importanti per me. Ho una storia da raccontare, una storia che parla di tutti noi.

Lì ho un caro amico che prima dell’alluvione possedeva una pompa di benzina. Uso il passato perché l’acqua e il fango gli hanno portato via tutto: sembravano avergli strappato dalle mani la speranza nel futuro. Invece – la vita è strana – proprio in quei giorni ha avuto un figlio ed è tornato a stringere il suo futuro tra le braccia. Questa storia è un insegnamento: non bisogna mai perdere la fiducia, anche nelle avversità. Vorrei però aggiungere una cosa…

Che noi, come squadra, nonostante tutte le difficoltà economiche di questo periodo, abbiamo raccolto dei fondi da inviare a Genova. Siamo un gruppo unito, di persone che si aiutano a vicenda, quindi era giusto che tutti assieme facessimo qualcosa per far del bene: prima che calciatori siamo uomini e gli uomini, quelli veri, non si tirano mai indietro nell’affrontare le avversità.

La devo smentire, noi non abbiamo nessun nemico. Quando scendiamo in campo però combattiamo contro tutti gli avversari: vendiamo cara la pelle perché non abbiamo paura di nessuno. Lottiamo contro tutti a testa alta.

(Ride, ndr.) Penso che ogni giocatore abbia dei limiti tecnici e io non faccio eccezione, anzi, però ho sempre creduto che non dare tutto per la maglia sia irrispettoso, specialmente nei confronti dei tifosi. A Frosinone erano poco più di una decina, a seguirci in quella bolgia che è stato il Matusa, e questo è importante, dimostra il loro amore. Noi possiamo contraccambiare solamente inzuppando la maglia di sudore sul campo.

Abbiamo fatto una grandissima partita, abbiamo lottato contro i leoni (gialloblù, ndr.) e nel secondo tempo abbiamo agguantato il pareggio e a dirla tutta avremmo meritato la vittoria. A differenza di altre squadre che hanno i milioni, e solo quelli, noi abbiamo il cuore. Ripeto, la nostra prestazione la dedichiamo ai tifosi venuti lì a seguirci: sono degli eroi.

Magari, sarebbe realizzare un sogno! A Neto e Corti continuo a ripetere che dovranno sopportarmi per altri quattro o cinque anni.
Quando sono venuto a Varese sono tornato a casa: la mia famiglia abita a Luino, io ancora a Lugano ma il mio tempo lo passo qui. Questa città è stupenda, a misura d’uomo, nel weekend si riempie di giovani e la cosa mi piace. In ultimo, cosa da non sottovalutare, ci sono alcuni ristoranti in cui si mangia divinamente. Poi parliamoci chiaro, io uno spogliatoio così unito e un mister come Bettinelli, non li ho mai trovati.

Betti è uno di noi, è come un calciatore. In altre squadre con l’allenatore non puoi nemmeno parlare perché ti zittisce subito: tu sei un calciatore e ti viene permesso solamente di correre dietro un pallone. Ma Bettinelli no, Bettinelli ti ascolta e poi risolve i problemi – dentro e fuori il campo -, lui ti fa essere vero. Lo sa perché?

Perché Bettinelli è il Varese. Il suo unico obiettivo è il bene del Varese.

Il gruppo, null’altro. Questo vale in serie B e – ci metto la firma – in tutte le altre categorie. Se c’è unione nello spogliatoio i risultati arrivano, le carenze tecniche vengono colmate dal lavoro del collettivo. Togli il gruppo a una squadra, togli l’anima.

Ci sono molte squadre che magari partono per la promozione e poi non l’ottengono, il perché è uno solo: lo spogliatoio non è compatto. Magari c’è qualche giocatore che è presuntuoso e fa tutto di testa sua senza ascoltare i compagni, questo spacca i rapporti.
Qui a Varese, già da prima che arrivassi io, la storia è tutt’altra. Tutti ascoltano tutti. I vecchi ascoltano i giovani, perché tutti sono importanti allo stesso modo. Questa è la nostra forza: nessuno si crede superiore all’altro, siamo tutti parte di una grande famiglia.

Fischi Scapi, fischi tutti noi.