No trasferta? Questi sono i veri motivi

Non è che un prefetto si sveglia la mattina e siccome scende dal letto con il piede sbagliato decide di vietare la trasferta di Brindisi ai tifosi di Varese. Perché, visto da qui, il divieto reso noto a quattro giorni dalla sfida di domenica può suonare come qualcosa di incomprensibile e strano: che senso ha?

Ecco, allora chiediamocelo: che senso ha? Il punto, signore e signori, è che quel divieto è sacrosanto ed è motivatissimo: e per capirne i motivi, bisogna prendersi la briga di fare qualche domanda in giro. Nella scorsa stagione, un manipolo di Arditi scese in Puglia per seguire la squadra di Moretti al Palapentassuglia. Varese venne sconfitta (l’anno scorso, specie nella prima metà del campionato, accadeva spesso) e questo lo sanno tutti.

Quello che in pochi sanno è quel che accadde dopo la partita: con i tifosi di Varese e quelli di Brindisi che, chissà come, hanno trovato il modo di “incontrarsi” nei dalle parti di un casello autostradale. Vecchie ruggini? No, più che altro antipatie, dovute al fatto che i tifosi di Brindisi sono gemellati con quelli di Cantù e quindi, ecco: avete già capito.

Quindi, sì: un precedente c’è stato (pare, ma questo non possiamo saperlo per certo, che durante quell’incontro-scontro ai tifosi brindisini sia pure stato rubato uno striscione). E quindi, sì: c’erano tutti i motivi per vietare la trasferta di domenica prossima. Anche perché dalla Puglia ci hanno parlato di alcuni contatti decisamente poco amichevoli che le due tifoserie avrebbero avuto, nei giorni scorsi, attraverso la rete e i social.

Esatto: cose che con lo sport non c’entrano nulla e che per quanto ci riguarda fanno pure girare un po’ gli zebedei. Ma che, piaccia o no, sono accadute.

Il prefetto di Brindisi ha fatto benissimo il suo mestiere. Poi, ci mancherebbe: annunciarlo quattro giorni prima della partita, con qualcuno che si era già organizzato prenotando il volo e magari pure l’albergo (e non parliamo solo del tifo organizzato, ma anche di alcuni supporters “singoli”), è una follia tutta italiana. Una delle tante, insomma.