Nossignori, je ne suis pas Varese 1910

L’editoriale del direttore Andrea Confalonieri

Ragazzi, va bene tutto ma ancor prima di aprire gli altri giornali siamo nauseati dalla faciloneria, dal qualunquismo e dal facile moralismo sui pali segati e il campo devastato del Franco Ossola che sale alle narici come l’odore dell’erba bagnata. Quello che volete leggere e che già trovate ovunque, in questo articolo non lo avrete mai: quindi, non andate avanti. Se cercate parole come vergogna, non c’è bisogno di scriverla anche qui per unirsi al coro assordante di chi la pronuncia.

Noi andiamo oltre, al dunque, e cioè alle radici dell’odio e di un atto così feroce ma non così sanguinoso da dover tirare in ballo i morti di Parigi con quel patetico e megalomane “Je suis Varese 1910” che campeggia sul sito della società: lasciate stare le cose serie come la vita e la morte, tornate con i piedi per terra e vi accorgerete della realtà. E cioè che da un anno e mezzo, forse due, il cuore, la dignità, la purezza di una squadra, di una maglia e di una tifoseria sono stati via via oltraggiati, calpestati, venduti al miglior offerente, fino ad essere derisi e ridotti a pagliacciata nel punto più basso mai toccato in 105 anni di Varese: Pierpaolo Cassarà presidente. Non si regalano il Varese e la carica di Borghi, Sogliano, Milanese a un battutista che non fa nemmeno ridere, ma arrossire.
La fine del calcio o di questa maglia non è rappresentata da quei pali segati a Masnago ma da chi l’ha fatta indossare, in società e fuori, a gente impresentabile, senza morale e senza dignità, con un passato discusso quasi quanto il presente. Mentre i tifosi pagavano il biglietto e giravano l’Italia c’erano dirigenti o procuratori o giocatori chiacchierati che facevano i loro affari, prendendo per il culo quegli stessi tifosi che adesso, genericamente, vengono accusati (servono le prove, signori miei) di avere devastato uno stadio che prima, moralmente, era già stato devastato proprio da loro.

Se ieri sono arrivati i barbari, chi sono i mandanti morali di questo scempio?
C’è gente che piange da mesi, anzi da anni, per come è stato ridotto il Varese (la classifica non conta, l’anima sì e ce l’hanno strappata), quindi chi lo ha fatto soltanto ieri può accomodarsi: la fila è lunga e davanti ci siamo noi insieme a tutti i tifosi, curva compresa.
Questo club è stato spogliato via via da uomini magari piccoli ma onesti e consegnato a chi non si è fatto scrupoli di vendere il vendibile (partite comprese, se è vero che almeno due giocatori sono sotto inchiesta), a procuratori senza scrupoli, a presidenti che disfano un club modello e poi scappano, oppure che incolpano la stampa, gli stessi tifosi e chi c’era prima di avere ucciso la società, quando la società sono loro!
Altro che “Je suis Varese 1910”: je ne suis pas Varese 1910.
Invidiamo il presidente dell’Avellino Taccone che ieri è uscito dallo stadio ad affrontare, con le palle e con il cuore, i suoi 400 tifosi inferociti per essere arrivati in pullman o in auto a vedere una partita che non c’è. Guardando un omone che urlava disperato con due bimbi piccolini tenuti per mano, gli ha detto: stanotte voi dormite in albergo con la squadra. Sei un grande, Taccone: perché sei il presidente di tutti gli avellinesi, non il presidente di te stesso. Lo fai per loro, e non per te.

Qui è dai tempi di Mauro Milanese che nessuno affronta nessuno: hanno in mano il Varese ed è sempre colpa degli ex, degli altri, della stampa, dei Sogliano, della curva se il Varese fa schifo, se vende le partite o la dignità e poi, guarda un po’, retrocede.
Invidiamo la Pro Patria: è ultima in Lega Pro ma è viva, lotta fino in fondo e non morirà perché ha un proprietario (Vavassori) con una sola faccia, una parola, un’onestà che qui ci siamo scordati da tempo immemorabile.
«La barzelletta è finita in tragedia» ha detto Enzo Rosa. «Adesso possiamo retrocedere in pace anche noi tifosi», ha aggiunto qualcun altro amaramente, come se servisse quest’atto violento e terribile per dimostrare che a distruggere tutto, oltre che una società, almeno alla fine possono arrivare anche i tifosi.
Sicuramente il Peo avrebbe aggiunto: «Adesso che non ci sono le porte, non possono farci gol».