Monze, 180 chilometri dalla capitale Lusaka, è l’Africa che ti aspetti: una piccola cittadina in mezzo a distese infinite. La sorpresa è trovarvi allenatori di basket che imparano il “verbo” a spicchi da maestri non qualunque, o bambini di 9 anni che ogni pomeriggio giocano sul campo lo sport più bello del mondo. Il calcio impera ovunque, ma è la pallacanestro – in questo caso – a fare del bene.
Tutto ciò accade grazie a Slums Dunk, progetto che vede in prima la linea l’omonima onlus, nato da un’idea di Bruno Cerella, a Varese nel 2012-2013. Prima fu il Kenya e uno dei sobborghi di Nairobi, oggi c’è lo Zambia e la sua zona rurale: Slums Dunk è un pallone, due giocatori, due allenatori e un fotografo che immortala il tutto, quel Simone Raso che per professione segue la Openjobmetis. Per lui la pallacanestro – oltre che un lavoro – è stata una scintilla verso qualcosa di ben più grande.
«A Bruno devo l’opportunità di vivere questa esperienza – spiega Simone – mi ha fatto conoscere il progetto, ne sono rimasto affascinato e gli ho chiesto di aggregarmi, formando – insieme al giornalista Federico Cappelli – un team addetto alla comunicazione. Durante le mie estati non voglio più fare altro: mi piace essere qui e rinuncio a tutto, vacanze comprese».
Sono due i pilastri di Slums Dunk: portare il basket in luoghi in cui ancora non è conosciuto, diventando un’opportunità di vita per adulti e bambini in contesti che confinano con il disagio e la povertà; lasciare qualcosa di concreto, formando persone in grado di continuare il lavoro svolto e costruendo (o riabilitando) strutture affinché ciò avvenga.
A volte basta la semplicità: «Al mattino gli allenatori Michele Carrea e Giuseppe Di Paolo, insieme a Bruno e Tommaso Marino, tengono un corso di formazione per i coach del posto – racconta Raso – Al pomeriggio gli stessi assistono e partecipano agli allenamenti che tali allenatori svolgono con bambini che vanno dai 9 anni in su. Ci serviamo di spazi messi a disposizione dalla diocesi locale».
La risposta è grandiosa e arriva da chi non ha mai visto un pallone da basket in vita sua: «Riscontriamo impegno e attenzione incredibili. Colpisce la naturalezza dei più piccoli che hanno a che fare per la prima volta con uno sport sconosciuto, così come la serietà e il coinvolgimento degli adulti. All’inizio eravamo in pochi, poi si è sparsa la voce: ora ci troviamo a gestire sessioni con più di cento bambini». A Mathare, in Kenya, grazie all’impronta lasciata da Slums Dunk è nata un’accademia che ospita circa 300 allievi. L’obbiettivo? «Dare continuità al progetto anche in nostra assenza e fornire le basi per creare qualcosa che duri nel tempo».
Il fotografo varesino immortala l’alternarsi dei giorni e dei progressi, cogliendo in ogni scatto le sfumature di un mondo lontano che diventa vicino e arricchendosi sempre di più: «Un’esperienza del genere è un mix di sensazioni diverse e continue, cambia il tuo modo di percepire le cose, ti permette di dare un peso diverso a malumori, problemi e superficialità di casa nostra. Noi non importiamo uno stile di vita che in realtà è solo nostro: portiamo la pallacanestro come alternativa dove non esiste».