Voto 10 a Dumoulin. E anche a Tiralongo

L’olandese vince da sorpresa, commovente il 40enne dell’Astana. Grandi anche i varesini

Il nostro pagellone del Giro del Centenario, vinto sabato dalla sorpresa Tom Dumoulin e impreziosito dalle prove dei nostri due alfieri varesini Eugenio Alafaci e Edward Ravasi.

Voto scontato e meritato: corridore moderno, completo, solido. In partenza non era tra i favoriti, vuoi perché Quintana e Nibali calamitavano l’attenzione, vuoi perché sul più bello Dumoulin era sempre evaporato. Stavolta no, è stato più forte dei suoi avversari e dei suoi problemi sullo Stelvio. Certo quelle dichiarazioni ad Ortisei, un po’ spavalde ed un po’ arroganti, poteva evitarle ma ha provveduto a chiedere scusa il giorno dopo.

Ha aperto il Giro annunciando la volontà di puntare alla doppietta (Giro-Tour nello stesso anno) che è riuscita di recente solo a Pantani nel 1998. In salita, terreno di caccia preferito, ha deluso e non poco: uno come lui, che ha saputo staccare più volte giganti come Froome e Contador, ha fatto tanta fatica attaccando poco e male.

Prima considerazione anagrafica: 33 anni per Nibali, 26 a testa per Dumoulin e Quintana. È necessario fare una seconda considerazione: Nibali non è eterno e ha già superato il picco della sua carriera, eppure ha messo in bacheca il nono podio in carriera in un Grande Giro, come Coppi ed Indurain, confermandosi il più presente in attività su questi podi, meglio anche di Contador, Froome e lo stesso Quintana. Indimenticabile la gemma di Bormio, ha fatto il possibile.

Vorrei ma non posso. Nell’ultima settimana è di gran lunga il più tarantolato ma alla fine torna a casa con un pugno di mosche in mano e la medaglia di legno al collo. Ha la straordinaria capacità di non cogliere l’essenza dei momenti decisivi: come quando Nibali e Quintana se ne vanno una prima volta sul Foza e lui resta a guardare, salvo attaccare più tardi. Conveniva anche a lui seguirli, ma aveva in testa la vittoria di tappa. E dunque il quarto posto è più che giusto.

Gli manca sempre un centesimo per fare un euro: attacca spesso, all’arma bianca, sembra poter dare grossi distacchi a tutti, ma non ci riesce mai. Quantomeno è migliorato in discesa, complice anche un’operazione agli occhi che gli ha sistemato la vista. E un quinto posto al Giro è pur sempre da incorniciare.

Ha corso il Giro migliore della sua carriera a 35 anni, e può tornare a casa orgoglioso del sesto posto finale. Ha fatto il massimo, perché questo è il massimo che può dare. E se è vero che a tratti è rimasto troppo a ruota degli avversari, è altrettanto vero che non gli si poteva chiedere di più.

Di lui Ivan Basso ha detto: entro tre anni vincerà un Grande Giro. È sulla breccia da tre anni ormai, è in costante miglioramento ma ancora gli manca qualcosa: poche volte in salita ha tenuto il passo dei più forti e a crono è un chiodo. Però il sesto posto di Bormio a meno di due minuti da Nibali è un mezzo capolavoro. Da cui Formolo può e deve ripartire.

È il simbolo dell’Astana e del suo Giro d’Italia sfortunato: perso Fabio Aru per infortunio un mese prima del via, perso Michele Scarponi e purtroppo sappiamo perché, perso Tanel Kangert in corso d’opera per una brutta caduta, Paolo poteva benissimo abbandonare il Giro in Puglia. Una caduta, frattura alla costola e a 40 anni chi te lo fa fare di proseguire. Invece no, Tiralongo è arrivato fino a Milano e ha chiuso con onore il suo ultimo Giro d’Italia. Commovente.

Il Giro ha confermato, e non scoperto, un talento vero. Non è una sorpresa, ma che potesse battere 4 volte Greipel in volata in pochi se lo aspettavano. Velocista sopraffino, con una chiara impostazione da pistard che gli permette di trovare soluzioni impossibili a velocità folli.

Si può prendere un grande voto anche terminando a 4 ore e 58 minuti dal vincitore. È arrivato a Cagliari in condizioni non ottimali, è andato in fuga in Sicilia il quarto giorno, non ha fatto mai mancare il suo lavoro per la squadra e, nella tappa dolomitica, si è trascinato al traguardo mezzo rotto dopo la caduta in discesa dal Pordoi. Piccola nota di demerito: il nervosismo lo ha portato ad eccedere lanciando una borraccia a Sutherland ma, come Dumoulin, ha provveduto immediatamente a chiedere scusa – di persona – e a sottolineare l’errore.

Come il conterraneo Alafaci, è arrivato al suo primo Giro con pochi giorni di corsa nelle gambe e dunque una condizione tutta da scoprire. Non aveva compiti particolari, ha così vissuto un Giro di ambientamento, imparando ritmi e dinamiche nel mondo dei grandi. Ha il talento per fare ottime cose, lo ha dimostrato andando in fuga nel tappone dello Stelvio e del Mortirolo: è un gran lavoratore e saprà trarre il massimo insegnamento da ogni singolo dettaglio.