«Eravamo due amici al bar. La mia vittoria a tutta birra»

Il maestro Chiaravalli e i retroscena della vittoria a Sanremo con Occidentali’s Karma

La cosa divertente è che questo è il Festival da cui ha portato a casa meno premi. La cosa ancora più divertente è che però adesso il mondo, tutto il mondo, si è accorto di . Il suo nome riecheggia da due giorni più che mai, insieme a quello dell’amico di sempre varesino , nell’Olimpo della musica. Un’intera città impazzita per lui, un sindaco pronto a inserirlo tra i papabili per la prossima benemerenza civica, un Eurofestival a cui presentarsi tra qualche settimana. Sì, Sanremo è Sanremo, ma questo è stato per forza diverso dagli altri. Eppure il Maestro non riesce ancora a capacitarsi di tutto questo: «Non ce lo aspettavamo per niente. Ero già felice di aver vissuto cinque giorni a Sanremo insieme al mio fratello Fabio, a berci birre al bar dell’Ariston tra le esibizioni aspettando i verdetti».

Vi dico che fino a venerdì nessuno si filava Gabbani. Il vento è cambiato sabato mattina, quando ha iniziato ad essere inseguito da tutti, telecamere e paparazzi in primis.

Io neanche lo sapevo, me lo sono trovato sul palco così… Ci siamo salutati come sempre prima dell’esibizione in camerino, il direttore d’orchestra va in postazione un po’ prima. L’ho visto scendere dalle scale con la pelliccia addosso e le mani larghe, quasi a dire: “Adesso vi faccio vedere io”. Mi ha guardato, ci siamo fatti il gesto a mani giunte del Namastè e aveva uno sguardo che non gli avevo mai visto, infuocato. Abbiamo spaccato tutto.


Il bello è che per scrivere Occidentali’s Karma ci abbiamo messo un mese. Non abbiamo mai pensato di fare una cosa per il mercato, ma di scrivere qualcosa di artistico, di non convenzionale. Sono arrivati Francesco e suo fratello Filippo con la prima strofa della canzone praticamente già fatta, fino a”singing in the rain”. Dopo quattro settimane di lavoro mancavano due frasi, non uscivano, non quadravano. Ci siamo chiusi io e Fabio nel suo studio a Fogliaro, dopo due giorni il pezzo era fatto. Ed è andato a vincere Sanremo.


Sul balletto abbiamo discusso parecchio, temevamo l’effetto circo. Poi il movimento di Francesco con le mani ci ha ricordato “Attenti al lupo” e ci siamo detti che poteva funzionare. La scimmia sul palco invece l’ha voluta lui. Gli Alè dell’orchestra? Un’idea del pacato Ilacqua, li abbiamo inseriti nello spartito. Loro, i musicisti, sono impazziti.

Ilacqua, è lui l’intellettuale. Ma è stato davvero un “parto” a tre, ci abbiamo messo tutti del nostro. E forse il successo è arrivato perché la gente ha capito il nostro approccio puro e onesto alla musica, ha premiato il lavoro duro.

Sta scherzando, vero? Francesco è un artista straordinario, ha tutte le carte per diventare come Jovanotti o Ligabue. Ha la voce, è un bravissimo chitarrista, sa scrivere, tiene il palco da dio, è colto. Dategli tempo. E un disco, ma per quello lo aiuterò io.


Paola ha fatto un bellissimo Festival, come si dice in gergo. In radio sta andando benissimo e soprattutto lei è felicissima che è la cosa più importante. Mi ha scritto dei messaggi molto belli, è stato un onore vivere questa esperienza al suo fianco.

Erano una grande scommessa e lo sapevamo. Avevano un pezzo difficile da rendere in quel teatro. In radio suona parecchio diverso e sta andando bene. Probabilmente hanno pagato il non essere propriamente dei Big nell’immaginario del pubblico.


Quando dico che non ci speravamo intendo fino all’ultimo secondo. Quando hanno aperto il televoto finale sono stato richiamato con gli altri due direttori d’orchestra. Mi sono detto: “Dai, arrivo terzo”. In fondo mi mancava un terzo posto. La regia doveva comunicare all’orchestra quale brano avrebbero risuonato. L’addetta indossava le cuffie, mi ha guardato e mi ha detto: «Luca, tocca a te, ha vinto Gabbani». Ecco, lì per tre secondi non ho capito più niente. Ero stordito. Sono risalito sul podio, Francesco mi ha ringraziato sul palco. Cosa potevamo fare a quel punto se non tirare giù l’Ariston un’altra volta? Namastè.