Il Pd sempre più assediato da una Lega in crescita

Il Carroccio è tornato in pista, esprimendo sindaci forti. E il centrodestra si sta ricompattando

Ad un anno dalla clamorosa “presa” di Varese, la Bastiglia della Lega Nord, lo scenario politico provinciale assomiglia più ad un assedio: quello delle forze di centrodestra che, sulla spinta di una Lega Nord tornata ad esprimere sindaci “pesanti”, tendono ad isolare una Varese governata, sia a Palazzo Estense che a Villa Recalcati, dal Pd e dai suoi alleati.

Il caso dei finanziamenti per il Patto per la Lombardia, che ha suscitato veementi proteste da Luino a Busto Arsizio contro il sindaco di Varese Davide Galimberti, è stato emblematico di questa tendenza. Non che Varese sia tutta rose e fiori nemmeno per il Pd, ancora lacerato dalle scorie dello scontro fratricida alle primarie tra Galimberti e Marantelli che continuano a farsi sentire, e le tensioni tra il segretario regionale Alessandro Alfieri e quello cittadino Luca Paris a margine della recente assemblea Pd di Varese, così come l’esautoramento del consigliere provinciale “galimbertiano” Paris da parte del presidente della Provincia “astutiano” Gunnar Vincenzi, sono lì a dimostrarlo.

Ma il Pd, lo ha sempre dimostrato quando ha governato nelle amministrazioni locali, è partito che sa contenere questa dialettica interna, quindi marcerà presumibilmente unito fino al termine del mandato, anche se la “reconquista” di Varese è già appieno nelle mire del centrodestra locale. Del resto, ad un anno dalla clamorosa sconfitta nel capoluogo, alle amministrative di giugno la Lega Nord ha compiuto il terzo, significativo, “ribaltone” in tre anni, riconquistando la roccaforte di Tradate con Dario Galli dopo aver espugnato con propri candidati sindaci, fortemente identitari e di impronta “salviniana”, già Saronno e Gallarate.

È ormai tornata saldamente in mani leghiste la leadership a Varese, come ai tempi in cui Umberto Bossi riusciva ad ottenerla da Silvio Berlusconi anche in spregio ai risultati elettorali. E il referendum per l’autonomia convocato dal governatore Roberto Maroni per il prossimo 22 ottobre, pur essendo forse la più “puramente leghista” delle iniziative prese in un quinquennio caratterizzato da una sostanziale continuità con i mandati a guida Roberto Formigoni, sta paradossalmente riuscendo nel “miracolo” di ricompattare come non mai lo schieramento di centrodestra.

Ne è una prova il lavoro del comitato degli amministratori locali per il Sì al referendum, sulla spinta non a caso di quel Giorgio Ginelli che, dopo aver rappresentato l’avamposto del Nuovo Centrodestra di Raffaele Cattaneo che si alleava con il centrosinistra in Provincia, è stato il primo a sconfessare con forza quella mossa tattica e a guidare il riconsolidamento dei “popolari” nell’alveo del centrodestra.

Eppure solo lo scorso febbraio, la cena di tutto il centrodestra alla trattoria delle zucche di Osmate in cui Luca Marsico lanciava la colonna sonora “se stiamo insieme ci sarà un perché”, sembrò quasi estemporanea, visto che alle amministrative in provincia di Varese, a parte l’eccezione vincente di Tradate, contrariamente ad una Lombardia in cui lo schieramento si è presentato unito e compatto quasi dappertutto, sono state più le occasioni di divisione, come dimostrano i casi di Cassano Magnago, Gerenzano, Ferno, dove comunque hanno vinto liste di area, e quelli di Besozzo e Sumirago dove le divisioni hanno causato dolorose sconfitte.

Ora, sulla spinta di una corsa nazionale per la ricomposizione di un “rassemblement” centrista, potrebbero tornare a riunirsi anche i cocci dispersi che hanno guardato verso il centrosinistra, come ad esempio gli ex Ncd di Marco Magrini e Gianfranco Bottini e gli ex Udc della Lega Civica di Stefano Malerba e Graziano Maffioli. In controtendenza con la “guerra” dichiarata a Varese, dove Malerba&C. hanno sostenuto Galimberti. Insomma, equilibri che si ristabiliscono dopo il “terremoto” di Palazzo Estense, con lo sguardo alle prossime scadenze politiche e regionali, soprattutto con tanti papabili candidati che ambiscono ad un posto al Pirellone o in Parlamento. E questa è solo la prossima “guerra”.