La svolta: Argenziano è innocente?

La perizia dell’accusa ammette la possibilità che a causare il decesso possa essere stato il farmaco

«Il farmaco da solo avrebbe potuto causare danni importanti. Avrebbe potuto causare quell’azione meccanica in grado di far collassare le mucose». E causare la morte di Stefania Amalfi, 28 anni, morta nella notte tra il 25 e il 26 aprile 15 nella sua abitazione di via Conca d’Oro a Varese, dove viveva con il marito Alessandro Argenziano, 41 anni, a processo per l’omicidio della compagna. Per l’accusa Argenziano avrebbe ucciso la moglie inscenandone poi il suicidio.

Ieri, davanti alla Corte d’Assise presieduta da Orazio Muscato, i due consulenti di parte sono stati ascoltati in un contraddittorio. Le perizie di accusa e difesa confliggevano in modo inaccettabile per il giudice. Che ha quindi ordinato un faccia a faccia. Che ha visto il consulente della procura Marco Motta, rettificare, in qualche modo, quanto già dichiarato. Una dichiarazione che, se non scagiona del tutto Argenziano, ne alleggerisce di monto la posizione. Il medico legale ha ammesso che il farmaco assunto da Amalfi, che assolutamente era contro indicato per chi come lei soffriva di insufficienza respiratoria, da solo avrebbe potuto causare il collasso delle mucose che hanno causato il decesso.

In sintesi: il perito ha ammesso che Amalfi sarebbe potuta morire senza che nessuno la soffocasse manualmente. Soffocamento del quale non sono state trovate tracce evidenti. Insomma il farmaco da solo avrebbe potuto causare la reazione che ne ha cagionato la morte senza che il marito le premesse una mano o il piumone sul volto sino a soffocarla. La testimonianza riapre completamente il processo: non ci sono infatti prove che sia stato Argenziano a somministrare, o a farsi prescrivere, il farmaco letale per la moglie.

La testimonianza di fatto scagiona l’imputato se non saranno portate altre prove. Amalfi potrebbe avere assunto il farmaco di sua volontà uccidendosi. Quella di ieri potrebbe essere la svolta. C’è anche un messaggio di addio della suicida che per l’accusa sarebbe stato scritto sì da Amalfi ma sotto costrizione.

È così? Oppure la donna ha assunto spontaneamente il farmaco che anche secondo il perito dell’accusa avrebbe potuto causarne il decesso per suicidarsi? O semplicemente potrebbe averlo assunto senza sapere quali conseguenze avrebbe potuto avere il medicinale su di lei. L’udienza di ieri ha permesso al difensore Stefano Amirante di segnare un punto importantissimo: non c’è più alcuna certezza che si sia trattato di omicidio. I familiari di Amalfi sostengono che Argenziano maltrattasse la moglie e la minacciasse di morte alfine di ottenere del denaro. Per l’accusa il movente è economico: Argenziano avrebbe ucciso la moglie per incassare l’assicurazione sulla vita di lei del valore di 30 mila euro circa. «Di fatto non ha incassato un euro», precisa Amirante. Cade anche il movente, per il difensore. Di fatto ieri la testimonianza del perito dell’accusa «chiarisce ogni cosa. Non c’è stato alcuno omicidio», conclude Amirante.