Ieri pomeriggio, alla libreria Feltrinelli, Diana Ceriani ha presentato il suo primo libro assieme all’editore Pietro Macchione, alla scrittrice ed editor Chiara Zangarini e al gruppo di lettura “La voce e il sogno”. Sono settimane intense per la cantautrice bosina famosa per l’abbigliamento tradizionale e la “ragèra” della bisnonna: il 5 novembre la testimonial della canzone dialettale nostrana era arrivata sul podio della 24° edizione di “Cantem insema”, il festival della canzone lombarda di Lissone,
facendo trionfare il bosino per la prima volta. Nata, cresciuta e sposata all’ombra della chiesa di sant’Imerio, anche se da qualche anno si gode con la famiglia il dolce esilio creativo di Castello Cabiaglio, Diana è emozionatissima. «È stata una cosa improvvisata, sulla scia dell’invito ripetuto del mio amico Gianfranco Gandini, il presidente dell’Accademia del dialett milanés. Parlando con mio marito Fabio, mio socio e fisarmonicista, non avendo un pezzo specifico per il concorso abbiamo scelto una delle canzoni che stavamo provando per le presentazioni del libro. La scelta è ricaduta su un valzer moderato, “La benediziun”: la storia di una bambina che, a spasso con il suo papà, trova un gattino abbandonato, lo adotta e lo porta a far benedire alla Motta. Lo abbiamo registrato amatorialmente e lo abbiamo mandato al concorso senza pensare che potesse andare in finale. E invece, pur esibendoci dal vivo senza basi, stranamente abbiamo vinto».
È umile ma determinata, Diana. «“Cantem insema” è un festival speciale – spiega. Lo portano avanti Gli Amici della musica, associazione culturale dedita alla salvaguardia della lingua locale, presieduta da Luigi Froio, e prevede l’assegnazione di un premio anche per il miglior poeta dialettale». Diana coltiva da anni la causa del dialetto e ha pubblicato alla metà di ottobre l’“Almanacco delle tradizioni bosine con le mie canzoni – i Stagiun dul cör”: una raccolta di tutti i testi di canzoni, poesie, ricerche accumulate negli anni a partire da quando insegnava alla Scuola Bosina passando per vari testi scritti per l’Insorgente, la Bissa de L’Insübria e Menta e Rosmarino, con l’aggiunta di qualche pezzo nuovo. «Un lavoro che mi ha impegnata due anni: non un canzoniere ma un almanacco perché ho voluto raccontare, stagione per stagione, le tradizioni, la cultura locale e la storia della mia terra». Un anno che si ispira alle tradizioni contadine e che prende avvio, non a caso, con il primo di marzo, denominato “ciama l’erba”, quando i giovani andavano per le strade facendo rumore con coperchi e pentole per spaventare il ghiaccio e scacciarlo, chiamando la primavera: un racconto a periodi, per attese e per feste comandate, talvolta con spunti personali, come la nascita della figlia Arianna, e con tutta quella dimensione di sentimenti e di poesia del quotidiano che sospende il giudizio sui tempi e sui luoghi. «È un lavoro emozionale più che nozionistico, tant’è vero che assimilo le stagioni della vita a quelle dell’anno, e racconto anche di personaggi reali, storici, viventi o no, esistiti o leggendari, che hanno fatto bella la nostra terra come Talamoni, Alioli, Domenichino Zamberletti, Guglielmini, Pin Girometta, i santi più venerati». Diana in occasione delle presentazioni del suo libro canta senza microfono, come una vera cantastorie. E non è tutto, perché questa creatura gentile e un po’ fatata è anche in diretta tutti i sabati sul canale 191 del digitale terrestre, Milanow, nel programma di mezzogiorno dedicato alla Lombardia e i suoi tesori. n