«Stefania è stata uccisa simulando un suicidio»

Caso Amalfi: la polizia trova una polizza sulla vita della moglie di Argenziano, che potrebbe essere il movente

«La signora Amalfi era a terra, nuda. Aveva un cuscino sotto la testa e qualcosa di scuro appallottolato vicino. Il letto era sfatto. Era morta». In aula prima udienza con testi nel processo che vede Alessandro Argenziano, varesino di 40 anni, imputato per l’omicidio della moglie Stefania Amalfi, 28 anni, morta nell’abitazione di via Conca d’Oro dove la coppia viveva.

Per l’accusa Argenziano la uccise simulando poi un suicidio. Ieri la Corte d’Assise presieduta da Orazio Muscato, ha ascoltato il medico che la mattina del 27 aprile 2015 arrivò in soccorso della ventottenne dopo la chiamata al 112 di Argenziano. «Lui, Argenziano era agitato, in ansia, diceva di essersi addormentato e di aver trovato la moglie così, con una calza sulla testa». Per l’accusa Argenziano avrebbe invece soffocato la moglie con il piumone. «Amalfi era cianotica, con delle secrezioni ai lati della bocca. Quel tipo di cianosi è compatibile con una morte per asfissia».

Il medico ha anche precisato che, secondo quanto dichiarato da Argenziano, sarebbero passati 30 minuti dal momento in cui l’uomo aveva scoperto il corpo della moglie e l’arrivo dei soccorsi. «Noi siamo arrivati in via Conca d’Oro tra i 5 e i 10 minuti successivi la chiamata – ha precisato il medico – Argenziano prima di rivolgersi al 112 avrebbe gridato chiedendo aiuto senza però che nessuno si curasse di lui».

Quindi il quarantenne avrebbe chiamato i soccorsi tra i 20 e i 25 minuti dopo aver visto la moglie in evidente stato di malore. Al medico è stato anche chiesto di riferire se Argenziano avesse dichiarato di aver cercato di rianimare la moglie. «Non ricordo con esattezza – ha spiegato il teste – il corpo della paziente era per terra. Argenziano potrebbe averlo spostato per iniziare le manovre di primo soccorso su indicazione del nostro operatore contattato attraverso il 112».

Questo è uno dei punti sui quali, per gli inquirenti, l’imputato si sarebbe contraddetto dichiarando ai soccorritori di aver cercato di salvare la moglie ma dicendo all’operatore del 112 di non volere in alcun modo toccare Amalfi. In aula è stato ascoltato anche uno degli agenti della squadra mobile che ha seguito le indagini coordinate dal pubblico ministero Sabrina Ditaranto. Il poliziotto è andato dritto al movente: «Sì abbiamo trovato una polizza sulla vita di Stefania Amalfi – ha spiegato – il beneficiario era stato da poco cambiato. Il solo beneficiario dopo il cambio è risultato essere Argenziano».

Per la procura quella polizza del valore di circa 30 mila euro, è il movente che avrebbe spinto Argenziano ad uccidere. Il teste ha spiegato che Argenziano aveva anche cercato di capire, seppur non in modo diretto, come muoversi per incassare la polizza. Un altro poliziotto ha spiegato, invece, di aver risposto ad Argenziano il 28 aprile 2015 a una domanda fatta alla sala operativa della questura. «Disse che doveva rifare la sim del telefono e che ci avrebbe poi comunicato il numero. Di informare anche la squadra mobile. Dichiarando di essere del tutto innocente». Argenziano in quel momento non era formalmente indagato.

Gli agenti stavano ancora cercando riscontri sull’ipotesi del suicidio suggerita da Argenziano stesso.