Quella felpa dell’operaio Castori è piccola per i palati fini di Varese

VARESE Preferiamo i campioni del fondo (sofferenza, sacrificio, volontà) a quelli del mondo. Preferiamo salire quando il carro dei vincitori si è svuotato, non avanza e non balla più, e a trainarlo è rimasto un omino ricurvo a testa bassa. Quattro ruote, un asse di legno e un mulo là davanti a tirare. Non c’importa che quel mulo

sia anche un allenatore: basta l’uomo, la sua parola e la sua normalità in un mondo di fumo e di fenomeni. Preferiamo andare in trincea quando ci sono da prendere le bombe insieme a chi le sta già prendendo. Preferiamo vincere o perdere quando siamo deboli piuttosto che quando eravamo forti: più difficile, più bello.

C’è da scontrarsi con la realtà ed è dura farlo per chi ha vissuto oltre ogni limite: la squadra non vale più dei punti che ha o del quinto posto, anzi. Castori forse è l’allenatore giusto nell’anno sbagliato perché dopo tanta bellezza non ci si accontenta d’un uomo da battaglia, ma pur sempre giusto rimane.

La squadra non è da playoff ma è una squadra buona, in ogni senso, e non cattiva: alcuni uomini nei ruoli chiave sono sopravvalutati, altri hanno speso troppo per troppi anni e raschiano il fondo del barile, altri ancora pagano sul campo le mancanze fuori campo (professionalità significa mettere davanti alla propria libertà il dovere di dare un esempio ai compagni, ai familiari, ai ragazzini della scuola calcio).

L’ambiente non è da playoff, diviso e sfiduciato, sempre sul piede di guerra: ogni partita a Masnago diventa un plotone di esecuzione, come fossero tutti lavativi, brocchi e ultimi (quando dovremo lottare per salvarci, cosa succederà?). La gente vuole il gioco di Maran, l’imperatore Sannino, lo slalom di Rivas, il morso della zanzara e il carisma di Terlizzi, ma la capiamo anche: quando il passato è troppo ingombrante, non passa mai e oscura qualunque presente.

Capita di sentirsi in colpa per apprezzare Castori, che ha l’unico torto di staccare la spina a fine allenamento e riattaccarla a quello successivo, quando il Varese devi allenarlo anche in città, giorno e notte.
Umiliano Ferreira Pinto e Juan Antonio: ma se vivi di scommesse e giocatori da rilanciare o recuperare, un anno peschi il jolly e quello dopo fai la frittata. Siamo il Varese. E se avessimo scimmiottato Zamparini o Corioni, segando Castori, non lo saremmo più.
Ci va piccola quella sua felpa ballonzolante stretta come una cintura sulla vita: anche noi eravamo così e purtroppo non lo siamo più, tutti in guanti bianchi, tutti palati fini.

Andrea Confalonieri

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