Piove, nel fine settimana di programmazione in quel cinema del Varesotto. È il 1973 e il proprietario ha sparso nell’atrio della segatura. Per assorbire l’acqua dalle scarpe degli spettatori. Moltissimi. Richiamati da quello che è destinato a diventare “il” film dell’anno. E non solo. “L’esorcista”.
Linda Blair è appena apparsa in una delle scene più “horror”. E dalle scale della galleria rotola giù un ragazzone che stava cercando di raggiungere l’uscita, impressionato da quanto scorreva sullo schermo.
Ma lo svenimento è arrivato prima. Senza alcuna conseguenza se non un ruzzolone. E tanta paura. Sua, davanti alla pellicola. E del proprietario quando se l’è visto rotolare davanti.
Ma è solo il primo. La ragazza, la porta fuori in braccio il fidanzato. Ha bisogno di un bicchiere d’acqua. Di aria. E non intende rientrare.
C’è un caldo torrido, il 18 giugno del 2013. Quarant’anni dopo. Quando quelle stesse scene scorrono in tv, anticipando la riedizione di “L’esorcista” che il giorno dopo sarà riproposto al cinema. Sotto, la scritta che quarant’anni fa veniva apposta con una striscia sui manifesti: vietato ai minori di quattordici anni.
E qualcuno, che nel 1973 non aveva quattordici anni, ma li aveva negli Anni Ottanta, quando se l’era visto angosciandosi, decide di rivederlo. Con i figli adolescenti. Ai quali alcune scene certo fanno un po’ impressione. Ma altre li fanno sorridere.
«È la mutazione dell’horror intervenuta – spiega , docente di linguaggio della comunicazione visiva al Politecnico di Milano – Oltre al fatto che è cambiata la competenza degli spettatori. E sono cambiati gli adolescenti. Pur essendoci film che “fanno paura” lo stesso». E quello che prima era dato dalla sottrazione, dalla paura che si creava nei fuori campo, oggi è affidato allo “splatter.
«Storicamente il cinema horror era quello di cose fatte intravedere, suggerite e non mostrate, improvvise – prosegue Castelli – Poi sono le visioni si sono stratificate. Pensiamo che ci sono state anche operazioni in cui si gioca alla parodia di scene che erano “cult” dell’horror. E poi non sono più solo le atmosfere a creare la paura».
Eppure restano film la cui nomea sopravvive. Anche al superamento di certi “effetti speciali” datati. Insomma, che cosa porta oggi a riproporre un film di anni fa? «Ci sono operazioni che rispondono alla necessità di creare un evento per portare la gente al cinema – risponde Castelli – E anche per allargare le conoscenze non solo sul contemporaneo».
Sara Magnoli
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