Uno fra i complimenti più belli a Grayson Capps – di scena questa sera alle 21, ai Giardini Estensi (ingresso libero) per il Black & Blue Festival – lo ha fatto proprio la stampa americana.
«Prendete la poesia di un trobadore del Texas come Townes Van Zandt e combinatela all’atteggiamento tagliente di Steve Earle e ad un pizzico del bayou-blues di Howlin’ Wolf: ecco la zuppa gotica di Capps».
Ma la zuppa, solitamente, deve essere accompagnata da un buon vino: quello di Veronica Sbergia & The Red Wine Serenaders, il gruppo che salirà sul palco subito dopo l’artista statunitense per dirci che le vecchie storie possono servire ad affrontare i tempi moderni.
Procedendo con ordine, é Capps uno dei capisaldi del nuovo blues sudista: nato in Alabama, ormai cittadino di New Orleans, capace di raccontare con angelica virtù tutto quello che c’é di “cattivo”, entusiasmante e buono nel blues.
Capace di mischiare la terrosa armonia dell’Alabama con le riflessioni filosofiche dell’arte orientale: “The Lost Cause Minstrels”, il suo quinto album da studio, raccoglie canzoni su quanto l’uomo sappia cambiare senza rinunciare alle sue radici. Folk-songs bellissime, quelle di Grayson, che sono servite anche a commentare il film “Una canzone per Bobby Long” con John Travolta e Scarlett Johansson.
A parte questo, il blues di Capps – cresciuto ascoltando suo padre, e i suoi amici, suonare le canzoni di Hank Williams, Tom Hall, Glenn Campbell e Woodie Guthrie – é uno sguardo sul mondo.
E i “profeti morti” di cui parla il chitarrista, quando descrive la sua musica, sono tuttora i profeti di un blues che, anche grazie a Capps, si sta trasformando in arte senza confini. Così la pensa anche Veronica Sbergia, che con i suoi Serenarders (Max De Bernardi e Dario Polerani) coltiva il gusto di una musica antica dal grande mordente.
Di strepitosa attualità, il pre-war blues di questo gruppo – vincitore dell’edizione 2013 dell’European Blues Challenge (contest a livello internazionale che si é tenuto a Tolosa) – sta affascinando non solo Francia, Norvegia, Inghilterra, Germania, Italia ma anche gli Stati Uniti.
Sarà per il suo contenuto storico e antropologico (con Veronica si parte dalle piantagioni del Sud per passare, poi, da New Orleans, Delta del Mississippi, Louisiana) ma anche per quella ironia con la quale i Serenaders affascinano il pubblico. C’é del mestiere, in questi musicisti, ed é quello di saper raccontare storie vere con una poesia preziosa e gentile.
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