LUINO Cresce ancora il numero dei frontalieri impiegati in Ticino. Un livello record arrivato a quota 43.773 unità, di cui quasi la metà provenienti dalla provincia di Varese. Un vero e proprio boom se è vero che nel 2004 in Ticino si contavano solo 33.930 frontalieri. Così stando alle cifre fornite dall’Ufficio federale di Statistica, dal primo trimestre 2004, in Ticino i frontalieri sono aumentati del 29%,
al di sopra della media nazionale, assestatasi al 26%. E il Varesotto con una manodopera impegnata oltre confine stimata in circa 28mila unità gioca la parte del leone. Dati, che se da un lato si scontrano con la crisi globale che ha mietuto anche in Ticino diversi posti di lavoro, dall’altro rendono l’idea dell’importanza di questo mercato come vero e proprio “ammortizzatore sociale” della nostra provincia.
Ma non solo. L’analisi fornisce anche un ritratto del lavoratore frontaliere: occupato prevalentemente nel settore dell’industria (39%) e nel settore dei servizi (60%). Dai dati diffusi dall’Ufficio statistica, però, emerge come nella categoria più elevata, ossia quella dei dirigenti (responsabili di aziende, direttori), la quota di frontalieri (7,3%) è lievemente più alta rispetto alla quota corrispondente degli occupati della popolazione residente permanente in Svizzera (6,6%). Scendendo di livello, invece, e arrivando alle professioni accademiche ed equivalenti, i frontalieri sono nettamente sottorappresentati rispetto agli occupati residenti (rispettivamente 11% e 19%). Nella categoria più bassa, infine, quella dei lavoratori non qualificati, i frontalieri rappresentano invece la maggioranza della manodopera: il 15 per cento di essi appartiene infatti a questa categoria professionale, contro soltanto il 5,6 per cento dei lavoratori residenti in modo permanente in Ticino. Nelle sei categorie intermedie, infine, le differenze tra frontalieri e occupati residenti sono meno marcate.
Il ritratto che emerge dunque è chiaro: da un lato ci sono i lavoratori italiani di altissimo livello sempre più richiesti per gli incarichi di responsabilità e dirigenza, dall’altro la tendenza confermata che occupare «posti con esigenze meno elevate sono piuttosto i frontalieri che gli occupati residenti in modo permanente». «Insomma – chiariscono i sindacati – si conferma come indispensabile in primo luogo per l’economia
ticinese il ricorso ai lavoratori italiani. Al di là delle polemiche, infatti, appare evidente come senza questa risorsa la produttività stessa del Ticino sarebbe messa a rischio». Altro aspetto da non sottovalutare l’apertura del mercato interinale che già negli scorsi ha assistito ad un vero e proprio boom di accessi. Precario, per precario, infatti, si punta a stipendi più elevati a pochi chilometri dal confine.
b.melazzini
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