Nascosta da amici per due anni E la piccola Lilli sfuggì alla Shoah

Gallarate – «Il mio sogno, oggi, è quello di vedere Vincenzo e Alba Avalle riconosciuti come Giusti tra le nazioni».
Vincenzo e Alba Avalle, i coniugi che nel loro appartamento di corso Sardegna a Genova nascosero per circa due anni, dal 1943 al 1945, una bambina e una decina di suoi parenti ebrei. Quella bambina, nel 1943, aveva cinque anni. E oggi le resta questo sogno: che Vincenzo e Alba possano entrare tra i Giusti tra le nazioni, il titolo onorifico che viene conferito a chi ha avuto il coraggio di rischiare anche la propria vita per salvare gli ebrei durante la Shoah.

Quella bambina, oggi donna, mamma, nonna, è Lilli Pesaro, vive a Gallarate, dopo un’infanzia tra Genova e Milano. E proprio a Gallarate ha trovato per la prima volta la forza di raccontare i suoi ricordi nascosta in quella casa di corso Sardegna. Le sue paure, le sue speranze, le sue attese, ma anche la serenità che i parenti nascosti con lei e i coniugi Avalle, con il loro bambino Leopoldo, suo coetaneo, sapevano trasmetterle. «Nel 2001 il Comune di Gallarate mi aveva invitato a parlare in occasione del Giorno della Memoria – racconta Lilli Pesaro -. L’allora assessore alla Cultura Roberto Delodovici aveva saputo per caso la mia storia».

O meglio, un pezzetto di quella storia. Quello che parlava di un uomo, Canzio, il papà di Lilli, nato a Livorno, italiano di religione ebraica, ucciso ad Auschwitz. Lilli avrebbe dovuto portare un ricordo, un messaggio sull’importanza di ricordare. Lei non voleva, all’inizio. «In casa mia avevano taciuto tutti per tanti anni, nessuno aveva mai voluto ritornare a pensare a quel periodo. Persino i miei figli non sapevano tante cose della mia infanzia, degli anni delle leggi razziali e di come, dopo la guerra, abbiamo ricominciato pezzo per pezzo a ricostruire la nostra vita».

Quel primo, piccolo, esile racconto ha aperto il flusso dei ricordi. Mai dimenticati, mai sopiti. Fatti tacere per tanto tempo. Poi esplosi. Senza odio. Ma con tanto dolore. La vita chiusa in una casa. La scuola negata. L’impossibilità di dire il suo nome, tipicamente ebraico. La mamma, cattolica, arrestata per sapere dove si nascondevano i parenti. Il papà deportato e mai più tornato. La notizia della sua fucilazione portata da un sopravvissuto che aveva diviso con lui la prigionia. Da allora Lilli gira per le scuole, parla con i ragazzi. Ricorda. Pezzi di memoria, a volte molto vividi, a volte offuscati. Ma sostenuti dai ricordi delle cugine che con lei hanno trascorso quegli anni, dai ricordi dello stesso Leopoldo, il figlio di Vincenzo e Alba. Che, con Lilli, sogna anche lui di vedere i suoi genitori tra i Giusti, ricordando anche come, sebbene piccolo, dal padre riceveva un insegnamento: salvare persone che stavano subendo una delle peggiori ingiustizie e atrocità che il genere umano potesse conoscere.

«Abbiamo già mandato una segnalazione all’ambasciata di Israele a Roma anni fa – aggiunge Lilli Pesaro -, ma non abbiamo ricevuto ancora alcuna risposta. Ci sono documenti e testimonianze di quanto hanno fatto gli Avalle per la mia famiglia. Di come ci hanno salvato la vita E per me già sono Giusti».

Stamane (domenica) alle 10.30 nella sala conferenze della Biblioteca di Castellanza Lilli Pesaro terrà una testimonianza sulla sua storia.
Sara Magnoli

p.rossetti

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