– La storia di Abraham continua a regalare nuovi particolari, come tessere che compongono il mosaico di una vita che è stata straordinaria.
«Anche se Abraham è morto, noi sentiamo che la sua storia non è finita, molte cose ci rivelano che è presente, e non rappresenta il passato» ci racconta la varesina , che sente Abraham come un fratello, una parte importante della sua famiglia. Abraham è scomparso in Etiopia a Wellele, nel suo paese d’origine, l’8 gennaio 2011, a pochi giorni dalla celebrazione del suo matrimonio, per un’emorragia cerebrale connessa alla malattia di cui soffriva: la neurofibromatosi cistica di Von Recklinghausen.
Abraham, a causa di questa malattia, ha sofferto molto, è stato emarginato e considerato brutto e cattivo, per l’elementare e crudele equazione che spesso accompagna e affligge i malati che portano in volto i segni del proprio male.
Quando Etiopia ed Eritrea erano unite al di sotto di un unico dittatore, Abraham, ormai orfano di madre, si spinge verso Nord, inseguendo, come tantissimi altri, la speranza, fuggendo dalla paura e dalla fame, dai disordini politici.
Ma in Eritrea lo aspettano momenti bui, la vita sulla strada, nell’orfanatrofio di Asmara, dove l’emarginazione e il disagio incidono ferite profonde.
Eppure è qui, racconta Paola, che «una dottoressa amica di mia madre si accorge di Abraham e decide di predisporre le carte per portarlo in Italia per le cure mediche». Abraham così può venire a Varese, vivere a casa di Paola, dei suoi genitori medici Anna e Mario, affrontando gli interventi di cura, le complicate carte e permessi, grazie ai quali finalmente ha l’opportunità di lavorare e aiutare il suo paese natale.
A Varese tesse molte amicizie, molti sono i varesini che ricordano il suo dolce sorriso. «Nel 2007, attraverso un curioso passaparola, Abraham scopre che sono in vita una sua sorella maggiore e un fratello minore e può finalmente riabbracciarli».
Nel frattempo, lui che era andato via dall’Africa orfano, povero, malato, vi fa ritorno con un lavoro e un tenore di vita europeo. Desidera aiutare quel che resta della sua famiglia e il suo villaggio. Paola e la sua famiglia lo seguono e lo aiutano in tutti questi spostamenti e progetti, allacciando il nome di Varese a Wellele, che non ha un rivolo di acqua, se non nella stagione delle piogge e nemmeno un pozzo. Il sogno di aiutare Wellele non tramonta con la scomparsa tragica, precoce, di Abraham, ma sembra farsi sempre più forte, ogni giorno di più.
«Quando Abraham è improvvisamente mancato ha lasciato noi, suoi familiari e amici, in un dolore frastornato e confuso. Pian piano, però, abbiamo cercato e trovato conforto, proprio ripensando a lui, alla sua allegria, ai suoi tanti progetti».
«Uno di questi sogni – forse quello a lui più caro – era la costruzione di un pozzo che rifornisse di acqua potabile gli abitanti di Wellele». Oggi molti passi importanti sono stati compiuti, Wellele ha un pozzo che, a distanza di tre anni dall’inaugurazione, funziona molto bene: non solo fornisce da bere al villaggio, ma parte della sua acqua viene utilizzata per l’irrigazione dei campi.
Dalla scorsa estate la luce è entrata nelle case grazie a lampadine fotovoltaiche e c’è spazio per un nuovo progetto entusiasmante: il mulino per macinare il grano.
Per raccogliere fondi la Onlus “Progetto Abraham” ha in programma un aperitivo il 28 marzo alla sala Polha, in via Valverde, alle 18.30: sarà un momento per ricordare Abraham e credere che anche solo un piccolo aiuto possa fare qualcosa di veramente grande. www.progettoabraham.org.