Basso: «Basta farsi domande Ricomincio dalla Martica»

Cassano Magnago – Era un 26 di maggio e tutto attorno c’era la neve. Aria sottile, in cima al Passo dello Stelvio, in quel teatro meraviglioso che la natura deve aver costruito pensando che un giorno lassù sarebbe arrivato il Giro d’Italia. Era un 26 di maggio, e Ivan Basso aveva segnato quella data con un cerchietto rosso già da qualche mese: quella sarebbe stata la sua giornata da ricordare. Noi lo abbiamo lasciato così: in una stanzetta fredda

di un albergo con la testa tra le mani, sconfitto, a chiedersi perché. Da quel 26 maggio sono passati 145 giorni, e Ivan Basso non ha trovato risposte a quel perché: semplicemente, ha smesso di domandarselo. «Ero convinto – racconta – che avrei vinto il Giro: convintissimo. Le prime due settimane erano andate esattamente come sognavo, la squadra girava a meraviglia e la gamba pure, a tre giorni dall’arrivo di Milano mi sentivo pronto a conquistare il mondo».

Poi.
Poi il castello che mi ero costruito è crollato, e mi è crollato addosso. Avrei voluto vincere la tappa di Cortina e sono convinto che vincendo quella tappa le cose sarebbero andate diversamente: invece sul Giau non sono riuscito a staccare nessuno, e Rodriguez mi ha fregato in volata.

Poi Pampeago, poi lo Stelvio…
Le mie salite, le mie montagne, il mio terreno: i giorni in cui avrei dovuto attaccare e fare i numeri, i giorni in cui avrei dovuto vincere il Giro. Invece mi sono dovuto difendere, e mi sono pure difeso male: dietro, a immaginare gli altri davanti che facevano quello che avrei dovuto fate io.

In cima allo Stelvio, dopo la sconfitta, in quell’albergo: che Ivan c’era? Abbracciato a un amico, ma solo e sconfitto. Incapace anche solo di slacciarmi il casco, a farmi mille domande e a pensare a tutte quelle persone a cui avrei dovuto chiedere scusa: i miei compagni, la mia famiglia, i miei tifosi.

Poi?
Poi ho continuato a sbagliare, perché ho continuato a chiedermi il perché di quella sconfitta. E allora mi sono messo a lavorare come un mulo perché volevo fare un grande Tour, per Nibali e per me. E invece al Tour non ho fatto nulla di buono, né per Nibali né per me.

Basso, oggi.
Diverso: ho smesso di chiedermi il perché dello Stelvio, ho capito che avrei dovuto accettare quello che è successo quel giorno. Non saprò mai i motivi di quella sconfitta, il perché le mie gambe non hanno girato: ma ho metabolizzato quella giornata, e ora so cosa voglio.

Cosa vuole?
Vincere: sono convinto di poterlo ancora fare. A patto che da qui in avanti ci sia un Basso diverso da quello che c’è stato fino a oggi.

Ce lo racconta, questo Basso diverso?
Ho capito che per svoltare davvero, per andare avanti, devo ripartire dalle cose belle. Da quei posti che mi lasciano addosso ricordi positivi, buone memorie. Dal passato che mi ha reso felice, che mi ha reso uomo.

Quindi?
Quindi i prossimi mesi saranno fatti così, come erano fatti quelli del Basso ragazzino che nessuno conosceva. La gradinata di San Maurizio da fare a tutta, la Martica da scalare in mountain bike, i boschi dietro a Milanello, il Campo dei Fiori. Ho bisogno di felicità nel pedalare, di tornare da dove sono venuto.

Tutto qui?
No. Lo scorso inverno è stato pieno di impegni istituzionali, feste, incontri, viaggi, serate: questa volta sarà diverso, e i miei tifosi capiranno. Ho bisogno di avvicinarmi alla prossima stagione con lentezza e metodo, ho bisogno di preparare quello che sarà un passo alla volta. Quindi: per i prossimi due mesi, Ivan si riposa e non c’è per nessuno.

Giro o Tour?
Aspetto di conoscere il percorso del Tour, poi decideremo: se davvero dovesse essere pieno di montagne…

Armstrong nella bufera.
Sono l’ultima persona che può parlare e giudicare, avendo io stesso sbagliato e fatto male al ciclismo.

Se le offrissero il Tour del 2005, vinto da Armstrong, al quale lei arrivò secondo?
Direi di no. Nel 2005 c’era un Ivan Basso che oggi non c’è più.
Francesco Caielli

p.rossetti

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