“ … Sussurri tramandati dal tempo, conservano ricordi ed evocano emozioni nei cuori di ignari passanti dal luogo affascinati… forse per suggestione e forse anche un po’ per magia, quando vago per le tue stanze, mi ritrovo a colloquiare con figure evanescenti dai nobili profili che, forzando la realtà, ritornano in vita riprendendo le loro attività di un tempo… poliziotti dai pesanti cappotti, investigatori in cravatta e doppio petto, sbirri da strada con barba incolta e pantaloni a zampa di elefante e ancora: archivisti, impiegati, uscieri,
banditi e gente stran… anime che tornano da altre dimensioni e impregnano le spesse mura con storie vere ed emozioni intense destinate a sopraffare il tempo e il suo degrado … e tutto appare antico… antico, ma al tempo stesso nuovo… come se i numerosi cambiamenti avvenuti nel secolo scorso avessero lasciato tutto com’era … tutto invariato … tutto immobile … immobile come i tanti pezzi di un puzzle che, seppur mischiati, tornano infine al loro posto per ripristinare un equilibrio prestabilito da lungimiranti artisti.
Colosso imponente, guardiano di pietra che vigila sulla città, sui destini dei suoi abitanti proteggendoli dalle loro mille paure e dalle innumerevoli incertezze, ecco quello che percepisci attraversando il Piazzale Libertà a Casbeno e osservando il Palazzo Italia o Palazzo della Questura, un tempo Palazzo Littorio, costruito nel 1933 su progetto dell’architetto Mario Loreti; un gigante sopito, apparentemente distratto che domina la zona circostante visibile ovunque, grazie alla forma trapezioidale con i suoi quattro piani fuori terra. Finestre rettangolari protette da grate in ferro, costellano la struttura come tanti occhi puntati verso il mondo … alcune di queste, quelle degli Uffici Operativi, accese anche di notte, inequivocabile segnale che indica che: “la Questura non dorme mai” … frenetica durante il giorno con il via vai di utenti che accedono agli Uffici Pubblici, calma e riflessiva nelle ore serali quanto le tenui lucine delle lampade da tavolo, perforano il buio illuminando carteggi su austere scrivanie … e tutto appare antico … appare antico quando ascolto … quando ascolto il ticchettio di vecchie macchine da scrivere che, col loro battito incessante, forano sottili fogli di carta velina color avorio pronti ad essere appallottolati e lanciati in lontani cestini quando il lavoro non appare soddisfacente … rapporti, resoconti, relazioni … documenti intrisi d’inchiostro che riportano situazioni, descrivano episodi, annunciano eventi, segnalano pericoli … adesso, seppur i moderni computer abbiano preso il sopravvento sulle romantiche macchine da scrivere, l’attività non subisce sostanziali cambiamenti e, ora come allora, la Questura protegge, la Questura racconta, segnala, avverte, informa… la Questura subisce… subisce le ire, la rabbia della gente insoddisfatta, della gente che protesta, che esprime il proprio disagio a volte civilmente, altre con violenza … ma la Questura comprende, come una madre benevola accoglie, ascolta, assorbe la rabbia, dispensa consigli … riporta la calma …
Sono passati molti anni… troppi… ma scopro ancora in te cose nuove: stanze misteriose, antichi affreschi, oggetti di un epoca passata … all’ingresso un anonimo portone nasconde una minuscola chiesetta dalla forma circolare, l’altare posto al centro ancora oggi custodisce un librone con su incisi in corsivo i nomi dei poliziotti caduti nell’adempimento del loro dovere … a volte, quando lo sfoglio, e faccio scorrere delicatamente le dita sulla pesante copertina, è come se le ruvide pagine mi parlassero e mi raccontassero storie di uomini in divisa… di gente comune, di vita quotidiana… storie che emozionano nella loro tenera semplicità… richiudo il libro con un tonfo che sprigiona un’impercettibile nuvoletta di polvere e alzo gli occhi al soffitto … anzi al cielo … la volta, color blu, è tempestata da piccolissime stelle che al buio divengono davvero luminose conferendo al luogo un aspetto quasi magico … lascio quel luogo surreale e salgo la scalinata in marmo; subito, al primo piano, mi ritrovo davanti la “Stanza del Direttorio”, oggi “Ufficio del Questore”, che al suo interno, proprio sul frontone, esibisce un affresco del pittore Montanari, delle dimensioni di circa 8 metri, tornato, casualmente quanto inspiegabilmente, alla luce nel 2006, in occasione di alcuni lavori di restauro. Nel periodo post fascista le autorità dell’epoca furono intransigenti: l’opera doveva sparire. Nino Vedani, appassionato di pittura incaricato di effettuare l’opera di occultamento dell’affresco racconta: «… decisi di effettuare un intervento che poteva conservare la parte affrescata del dipinto, usai il biancone, poi feci un’altra passata in modo che si potesse in futuro favorire il recupero dell’opera…»… ed è quello che col tempo avvenne e quindi, adesso, grazie alla saggezza di Nino, tutti possono ammirare, senza pregiudizi l’affresco del grande Montanari … riprendo la scalinata e salgo, salgo ancora, raggiungo il secondo piano… mi soffermo davanti ad un enorme finestrone ed esamino il tetto a cupola dell’enorme sala che adesso ospita
la mensa ma che un tempo, quando le prime autovetture della Polizia presero il posto delle biciclette, era adibita ad autofficina e garage… ricordo ancora il collega Vincenzo, da tutti chiamato Vincenzino per il suo carattere cordiale e il suo sorriso sincero rivolto sempre a tutti, ma proprio a tutti, anche a quelli che quel sorriso non lo meritavano per niente; Vincenzo, anzi, Vincenzino, era sempre lì, col capo chino nei cofani delle vecchie Alfa Romeo, di tanto in tanto andavo a trovarlo nel suo regno fatto di motori e di auto blu e lui, senza mai smettere di lavorare, mi parlava della delicatezza di quegli ingranaggi, a volte si tirava su per prendere fiato e, asciugandosi il naso sporco di grasso con la parte esterna del pollice destro, mi spiegava come ottenere il massimo da quelle auto senza sforzare inutilmente i motori, senza mai cancellare il sorriso dal suo volto mimava, incassando il collo, la posizione delle mani sul volante e quella dei piedi che schiacciava a vuoto su pedali immaginari… quanto ritorno alla realtà mi sembra ancora di avvertire l’odore di benzina e di lubrificanti… la scala in marmo termina e, per accedere al terzo piano, utilizzo una scaletta interna in pietra… dal terzo al quarto piano, forse il più antico e suggestivo, quello che in passato ospitava i vecchi Uffici della Polizia Scientifica… tanti anni fa… una vita fa, mentre si effettuavano i lavori di trasloco per trasferire gli Uffici della Scientifica dal quarto al piano terra, dove tuttora sono collocati, all’interno di pesanti mobili oramai abbandonati, furono trovate vecchie foto ingiallite dal tempo, foto della città com’era una volta, foto di gente in divisa che posava sorridente accanto a belle donne, foto segnaletiche di vecchi pregiudicati dalla barba incolta e i capelli arruffati e anche un calendario del 1937 raffigurante persone in costume da bagno sul lago della Schiranna.
Una piccola porticina conduce ad una nuova scala interna di piccole dimensioni prima di qualsiasi protezione che, girando attorno alle pareti poste proprio al di sopra del quarto piano, conduce ad una scala in ferro di più recente costruzione poggiata contro il muro… la percorro e, giunto in cima, sollevo con la forza delle braccia una pesante botola in metallo; una ventata di aria fresca mi investe, sono finalmente nella poderosa “Torre dell’orologio” o “Torre Littoria”, il punto più altro della Questura… mi guardo attorno, posso fissare negli occhi le campane della Parrocchia di San Vittore Martire a Casbeno, mentre dall’altro lato è ben visibile il lago di Varese. Giro lo sguardo a 360 gradi e incontro il Campo dei Fiori e il suo misterioso hotel abbandonato e più vicino, appena più in alto rispetto alla mia posizione, l’antico hotel Palace che conserva ancora in se lo sfarzo e l’eleganza di un’epoca passata…
…mi soffermo a riflettere… a riflettere su quello che rappresenta questo luogo, sulle memorie e sui ricordi che custodisce, sull’importanza istituzionale che riveste, sul suo significato, sui suoi scopi… rifletto e realizzo che anche quando non ci sarò più, una parte di me continuerà a vivere tra queste mura, come una evanescente presenza destinata a tramandare le antiche emozioni ai nuovi visitatori dalla sua storia conquistati…”