Violenza sessuale, un uomo distrutto da un’accusa infondata. E una giustizia che arriva sempre tardi

Il caso del radiologo di Gallarate, assolto da un'accusa infamante. Ma quando la macchina del sospetto divora vite e reputazioni, anche l’assoluzione non basta più.

C’è una frase che torna spesso nelle aule di tribunale, pronunciata con amarezza da chi ha visto la propria vita andare in pezzi per un errore giudiziario: «La giustizia mi ha assolto, ma nessuno mi ridarà ciò che ho perso».
È la stessa sensazione che probabilmente prova oggi il tecnico di radiologia dell’ospedale di Gallarate, assolto con formula piena dopo due anni d’inferno, sospeso dal lavoro, additato come un mostro, travolto da accuse rivelatesi prive di fondamento.

Il processo ha stabilito che non c’erano prove, né riscontri, né credibilità sufficiente nelle accuse di violenza sessuale. Ma nel frattempo quell’uomo ha perso tutto: la serenità, la fiducia dei colleghi, la stima pubblica. È stato umiliato sui social, ridotto a un terzo dello stipendio, marchiato come colpevole prima ancora di potersi difendere. E ora, anche se il tribunale lo ha liberato da ogni addebito, la sua reputazione resta irrimediabilmente segnata.

Non si tratta solo di un caso isolato. Purtroppo storie così si ripetono con inquietante frequenza. L’indagine che nasce da una segnalazione fragile, la fuga di notizie, la gogna mediatica, il linciaggio social. Poi, dopo mesi o anni, l’assoluzione. Ma nel frattempo la persona è distrutta, la carriera compromessa, la vita privata in frantumi. E a quel punto nessuno chiede scusa, nessuno paga davvero il prezzo dell’errore.

Serve una riflessione profonda: il diritto all’onore e alla presunzione d’innocenza è diventato troppo fragile nella società dell’immediatezza. È bastato un sospetto, un titolo, una voce per trasformare un lavoratore in un colpevole pubblico. Quando la verità giudiziaria arriva, spesso è troppo tardi: la condanna morale è già stata pronunciata e non c’è sentenza che possa cancellarla.

Questo caso ci obbliga a guardare in faccia il problema: un’indagine sbagliata può distruggere una vita tanto quanto un reato vero. E finché continueremo a scambiare il sospetto per una condanna, la giustizia – anche quella che assolve – non sarà mai davvero giusta.