Carceri, benessere per tutti: la cultura della rieducazione protegge anche gli agenti

Uno studio della Bicocca su oltre mille agenti penitenziari rivela: clima empatico e orientato al reinserimento riduce il burnout e migliora la qualità del lavoro.
Ma servono formazione e strumenti per gestire l’empatia senza esaurirsi.

Trasformare la cultura delle carceri italiane non è solo una questione di diritti dei detenuti, ma anche un fattore chiave per il benessere psicologico e professionale degli agenti di Polizia penitenziaria. È quanto emerge da un’innovativa ricerca pubblicata sul Journal of Criminal Psychology, condotta da un team del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca, in collaborazione con la Direzione generale della Formazione del Ministero della Giustizia.

Il lavoro, firmato da Marco Marinucci, Iolanda Tortù, Teresa Traversa, Luca Pancani e Paolo Riva, ha coinvolto 1.080 agenti penitenziari in tutta Italia. Il dato più rilevante? Un clima organizzativo fondato sul rispetto, sul supporto e sulla rieducazione dei detenuti ha effetti concreti e misurabili sulla soddisfazione lavorativa degli agenti e sulla prevenzione del burnout.

«Gli agenti che operano in contesti dove la dignità e il reinserimento dei detenuti sono valori centrali sperimentano meno esaurimento emotivo», spiega Marco Marinucci, primo autore dello studio. «Una cultura penitenziaria improntata al sostegno reciproco protegge gli agenti e riduce anche il rischio di comportamenti abusivi».

Rieducazione e benessere: due facce della stessa medaglia

Lo studio – che combina metodi correlazionali e sperimentali – dimostra che un ambiente relazionale empatico e meno punitivo genera atteggiamenti più positivi e relazioni più sane tra detenuti e agenti. Un circolo virtuoso che contribuisce anche a una maggiore sicurezza interna, grazie alla riduzione dell’ostilità e a un maggiore coinvolgimento emotivo e professionale del personale.

Ma la ricerca avverte anche su una possibile controindicazione: una vicinanza emotiva eccessiva, in assenza di strumenti adeguati, può esporre gli agenti a ulteriori forme di stress. Ecco perché, sottolineano gli autori, la formazione continua è essenziale per aiutare il personale a gestire l’empatia in modo professionale, evitando di farsene travolgere.

«Oggi più che mai occorre ripensare la formazione e la gestione del personale penitenziario», conclude Marinucci. «Costruire un ambiente carcerario orientato al supporto non è solo un imperativo etico, ma una strategia concreta per migliorare le condizioni di lavoro e la sicurezza».

Lo studio, sostenuto dal Ministero della Giustizia, fornisce anche indicazioni operative per avviare un cambiamento culturale reale negli istituti penitenziari italiani: un cambiamento che, se ben accompagnato, può portare benefici tanto ai detenuti quanto a chi ogni giorno lavora dietro le sbarre.