«C’è tensione? Abbracciamola»

L’onestà di capitan Cavaliero: «Dimostriamo di che pasta siamo fatti. Problemi tecnici? Parliamo d’altro»

«O Capitano! Mio Capitano! Il nostro viaggio tremendo è terminato, la nave ha superato ogni ostacolo, l’ambito premio è conquistato, vicino è il porto, odo le campane, tutto il popolo esulta, occhi seguono l’invitto scafo, la nave arcigna e intrepida…». Qui Varese: il porto è ancora lontano, la tempesta è nel pieno della sua forza, il viaggio risente della fatica e non abbiamo ancora capito se la ciurma abbia voglia di affrontare le onde con tutta se stessa. Nella commovente poesia scritta nel 1865 da Walt Withman,

però, si scorge una speranza, valida anche per il basket di casa nostra: è quella che i marinai imparino, prima o poi, a seguire l’esempio di chi li guida, un capitano che non ha avuto paura di morire. «… Non risponde il mio Capitano, le sue labbra sono pallide e immobili, non sente il padre il mio braccio, non ha più energia né volontà. Ma la nave è all’ancora sana e salva, il suo viaggio concluso, finito,la nave vittoriosa è tornata dal viaggio tremendo, la meta è raggiunta…»

Bene, la spalla va meglio e non mi dà problemi nel giocare, se non qualche piccolo dolore ogni tanto: il lavoro fatto insieme al preparatore Marco Armenise e al fisioterapista Mauro Bianchi ha dato i suoi frutti.

Oltre al lavoro per la spalla, lo staff – che non finirò mai di ringraziare – mi ha aiutato molto in quello atletico, necessario a entrare “di rincorsa” dopo l’estate che ho passato. Insieme abbiamo deciso di spingere e ora sto iniziando a sentire il giusto feeling con il campo.

Non so se ci siamo resi davvero conto che non possiamo perdere due partite di fila di 30 punti. È in primis una questione di orgoglio personale e mi ci metto dentro anch’io, che di questa Varese sono capitano. Tornare indietro non si può: ora, piuttosto, è il momento di capire che squadra vogliamo essere e che squadra vogliamo diventare. Senza preoccuparsi eccessivamente, perché i momenti difficili in una stagione capitano sempre.

Penso che prima di parlare di tecnica, tattica e sistema di gioco, sia necessario parlare di caratteristiche morali. Caratteristiche che penso che tutti noi abbiamo, ma che per il momento non abbiamo tirato ancora fuori. Dopo il Neptunas, insomma, non ci doveva essere una Pistoia… Ora i campanelli d’allarme sono suonati e si sente forte l’urgenza di un cambiamento.

Sono ottimista in tal senso: il nostro gruppo è formato da persone che sanno dove sono, sanno che questa è Varese e che giochiamo due competizioni difficili. Ora, dopo gli ultimi match che ci hanno visto sconfitti, c’è ovviamente più tensione: bene, abbracciamola. Ci servirà per preparare la difficilissima partita contro Avellino, per vincerla o almeno per dare buone sensazioni al nostro pubblico

A mio parere la dirigenza ha costruito un roster in maniera molto oculata, con persone “da Varese”, con atleti complementari fra loro e al sistema più congeniale al nostro staff tecnico. Attenzione, però, perché non sempre si riesce a trovare la pedina perfetta per un determinato gioco. Sta all’intelligenza di chi allena, ma soprattutto a quella di chi va in campo, fare un passo verso il bene comune. Noi giocatori non dobbiamo fare solo le cose che rientrano nella nostra “zona di comfort”, ma metterci a disposizione della squadra, del compagno che ha bisogno di un aiuto difensivo o che sta giocando un pick and roll e necessita magari di un determinato spazio o un determinato passaggio. Solo così le imperfezioni si possono limare».

Sinceramente mi fa ridere sentir parlare di cambiamenti… Siamo un’ottima squadra, che ancora però non gioca come dovrebbe giocare.

Sì, ritroviamo la voglia di buttarci su ogni pallone, per esempio, o di non mollare le partite quando andiamo sotto di 10-15 punti. Sta a noi dimostrare di che pasta siamo fatti. Solo dopo essere usciti dal campo con le ginocchia a pezzi e madidi di sudore possiamo iniziare a parlare di tecnica e di tutto il resto. Ora come ora, non ce lo possiamo ancora permettere.