C’è un complice per l’assassino di Lidia Macchi?

È la domanda sulla quale lavorano gli inquirenti. Gli ultimi, terribili minuti di vita della ragazza

, il,presunto assassino di , aveva un complice? La domanda gli inquirenti se la sono posta nello scoprire che il DNA ricavato dal francobollo affrancato alla lettera dal titolo “In morte di un’amica” recapitata a casa della famiglia Macchi il 10 gennaio 1987, giorno delle esequie della bella scout violentata e uccisa 20 anni, non appartiene a Binda.

Quella notte del 5 gennaio 1987 quando per l’accusa il quarantanovenne violentò e uccise Lidia, amica inseparabile all’epoca, per il sostituto procuratore generale di Milano Binda agì da solo. Ma affidò a qualcuno l’incarico di affrancare e spedire quella busta contenente una missiva, che per gli inquirenti rappresenta la confessione dell’omicidio, che una perizia grafologica dice essere stata scritta da Binda a un’altra persona.
Ventinove anni fa nessuno si preoccupava di qualcosa come il DNA era una tecnologia agli albori. Binda dunque, così ipotizzano gli inquirenti, potrebbe essersi confidato con qualcuno e avergli affidato la lettera che forse non riusciva a spedire lui stesso.
Per l’autorità giudiziaria c’è qualcuno che sa e che da quasi 30 anni custodisce gelosamente il segreto dell’assassinio di Lidia. Ed è su questa, o queste persone che si concentra adesso l’attenzione degli inquirenti. Per l’accusa in quella notte stellata e gelida nei boschi di Cittiglio dove Lidia fu violentata e uccisa c’erano soltanto la ragazza e il suo assassino. Secondo la ricostruzione che il gip compie nell’ordinanza Lidia e Binda si incontrano nel posteggio dell’ospedale di Cittiglio non è chiaro se casualmente oppure no. Binda sale sulla Fiat Panda della ragazza che gli cede il volante. Quando Lidia si accorge dove Binda sta andando probabilmente inizia ad avere paura: quei boschi di Cittiglio erano all’epoca ritrovo per tossicodipendenti quale era Binda con continue ricadute.
Lidia viene spogliata dalla cintola in giù «quanto basta all’aggressore per sfogare le proprie pulsioni», scrive il gip. È una «meccanica congiunzione carnale», uno stupro che sciocca Lidia nel profondo. La ragazza poi si riveste in fretta: infila i collant al contrario, uno degli stivali non è completamente calzato, uno dei gambali dei jeans chiari è infilato nello stivale particolare che Lidia detestava stando alle amiche.

Lo shock è totale, «Lidia e Binda discutono, i toni si alzano, Binda è in preda al delirio e identifica in Lidia il peccato originale», dice il gip. Binda, per gli inquirenti, a quel punto sarebbe esploso e, estratto un coltellino, con lama lunga 10 centimetri e larga due, colpisce Lidia al viso e al collo.
È un film dell’orrore quello ricostruito dagli inquirenti. Lidia a quel punto, ferita e sanguinante, fa un gesto spontaneo: alza la mano sinistra per ripararsi dai colpi e riceve un fendente alla mano sinistra. «A quel punto tenta l’impossibile – scrive il gip – Lidia tenta di fuggire».

È ferita al volto, al collo e alla mano. Apre la,portiera «per farsi forza appoggia la mano ferita al sedile lasciando così l’impronta insanguinata poi trovata sul sedile», dice il gip e uscendo «striscia la mano ferita sul battente della,portiera lasciando anche lì una traccia di sangue».
È curva, ferita, terrorizzata, debole, nel buio al limitare di un bosco. Cosa mai potrà fare da sola? Pochi passi «e Binda è su di lei – dice il gip – la spinge giù, Lidia cade a terra prona sul terreno. Binda sferra in rapida successione le 16 coltellate alla schiena. Il sacrificio è compiuto: consummatum est come scrive tragicamente Binda nella lettera».
L’aggressore poi copre Lidia con un cartone forse perchè non riesce a guardarla. Poi si allontana. Lidia morirà in circa 15 minuti d’agonia per asfissia polmonare dovuta alle lesioni e emorragia.