Da Gallarate a Kabul, verso la Siria in guerra. Il collegamento sembrerebbe strano ma l’allarme è stato lanciato da tutti i servizi di polizia occidentali: terroristi nascosti in Europa, cittadini esemplari, con lavoro e vita normale, che in realtà si sono svelati essere terroristi di primo piano. Sono almeno sedici questi capi guerrieri che dopo aver trascorso lunghi periodi in Italia sono tornati in Medio Oriente per guidare battaglie sanguinarie.
L’allarme, lanciato da un servizio pubblicato da L’Espresso, riguarda un eventuale ritorno in Europa di questi personaggi o di altri da loro formati dopo aver avuto un addestramento da battaglia estrema.
Uno dei 16 “dormienti” italiani ha vissuto a lungo a Gallarate, lavorato per un impresa di pulizie cittadina, costruito un covo segreto in via Dubini dove reclutava nuovi adepti arruolando volontari attraverso video che incitavano all’odio, video poi ritrovati dagli inquirenti. Oggi , tunisino, è il braccio destro dello sceicco . Quel piccolo imprenditore che qualcuno a Gallarate ancora ricorda era l’emiro per l’Italia di una cellula di veri terroristi.
Samir era a capo della cellula milanese ribattezzata dagli inquirenti Rete Hamza: fu arrestato a Gallarate nel 2001, condannato a otto anni di carcere duro per terrorismo su richiesta dell’allora pubblico ministero di Busto Arsizio
(oggi gip a Varese), ed espulso in Tunisia dopo aver scontato la pena. Si sospetta che Samir il gallaratese stesse progettando attentati in mezza Europa: ai suoi complici furono sequestrati 30 chilogrammi di Tatp, esplosivo utilizzato in diversi attentati da kamikaze.
Un intercettazione del 2008 rivela che l’imam di Andria ha continuato a spedire denaro a Samir attraverso il fratello. Fulcro di questa attività era la moschea di viale Jenner a Milano. La geografia terroristica lombarda (con epicentro a Gallarate) fu ricostruita tra il 1998 e il 2001 attraverso differenti operazioni. Tutto ebbe inizio a fine anni 90 quando alcuni elementi collegate alle cellule terroristiche islamiche si infiltrarono nella moschea.
«La trappola è lì in quella moschea”, dirà poi un collaboratore di giustizia. Lì venivano avvicinati gli elementi più deboli ed emarginati. Lì partiva la cultura dell’incitamento all’odio: video di guerra che riprendevano torture indicibili inflitte in seno ai conflitti di Cecenia e Bosnia. Video proiettati dalla mattina alla sera, raccontano i collaboratori. Ai poveri clandestini disperati veniva detto: «In questa vita siete condannati a morte, morirete prima o poi in mezzo a questi porci che ci rubano il petrolio». Nei Paesi in guerra veniva registrati gli attentati che poi venivano mostrati nelle moschee.
L’indagine gallaratese racconta dei viaggi di indottrinamento in Medio Oriente dei prescelti che alloggiavano, in Italia, in appartamenti a Gallarate e Legnano. Dalle pagine delle indagini emerge anche un dettaglio interessante per il nostro territorio: i terroristi non riuscirono mai ad infiltrarsi nella moschea di Gallarate, a differenza di quanto accadde a Milano, che rimase inviolata ed estranea alla vicenda.
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