Un farmaco che distrugge la beta-amiloide potrebbe essere la soluzione definitiva contro l’Alzheimer. Per alcuni ricercatori questa scoperta potrebbe essere una svolta, ma ancora non è chiaro se la medicina faccia anche regredire i sintomi. Gli effetti su demenza e memoria saranno studiati solo nei prossimi mesi e la maggior parte dei neurologi preferisce aspettare prima di cantare vittoria.
La strabiliante notizia è stata pubblicata su Nature, che ha dedicato uno speciale, proprio in occasione della Giornata Mondiale dell’Alzheimer, alla nuova medicina in sperimentazione. Il farmaco – un anticorpo monoclonale chiamato aducanumab – si è rivelato capace di “ridurre significativamente” l’accumulo di proteina beta-amiloide nel cervello. Questa proteina è considerata la causa della demenza e dei problemi di memoria tipici della malattia di Alzheimer, contro la quale oggi non esistono cure efficaci.
L’entusiasmo della scoperta è condiviso però solo in parte dai neurologi. Non tutti infatti sono d’accordo sul fatto che la beta-amiloide sia la vera causa dei disturbi cognitivi. «L’aducanumab è efficace nel ridurre gli accumuli, su questo ci sono pochi dubbi – ha spiegatpo Sandro Iannaccone, neurologo, primario della neuroriabilitazione del San Raffaele di Milano, che sta sperimentando il farmaco su un gruppo di pazienti -Ma
ancora non è chiaro se riduca anche i sintomi. Se, cioè, sia efficace anche a livello di memoria e in grado di contrastare la demenza». La ricerca pubblicata da Nature riguarda una sperimentazione di fase 1b. Si tratta di una tappa iniziale nello sviluppo dei nuovi farmaci, in cui si cerca di escludere la presenza di effetti collaterali più che di misurarne i benefici.
Nei 165 pazienti trattati però gli effetti di riduzione della proteina dannosa sono però stati molto evidenti: anche se quantificare questo miglioramento con una percentuale non è possibile, l’aducanumab è effettivamente più selettivo ed efficace rispetto ad altri farmaci simili. Gli effetti collaterali hanno riguardato 20 pazienti, colpiti da piccole emorragie o accumulo di fluidi all’interno del cervello e i ricercatori della Biogen – l’azienda americana che sta sviluppando l’anticorpo – scrivono di aver notato effetti incoraggianti sulla memoria, che andranno comunque approfonditi.
Il giudizio resta dunque sospeso, anche se dopo tanti anni, si hanno le prove che una nuova classe di farmaci potrebbe diventare disponibile. Il dibattito scatenato da Nature potrà dirimersi solo con ulteriori studi e la sfida della ricerca è di individuare i pazienti nelle fasi iniziali di malattia. Lì i trattamenti potrebbero rivelarsi più efficaci, e il fatto che questa sperimentazione sia indirizzata a malati con sintomi ancora lievi fa aumentare le speranze di successo. «Oggi l’obiettivo di una cura efficace per i malati di Alzheimer sembra essere più vicino, ma è importante che, oltre al frenetico lavoro degli scienziati, anche i sistemi sanitari e la società in generale riflettano su quale sia un possibile modello di gestione della patologia e delle sue ricadute socio-sanitarie», ha detto anche Eric Baclet, Presidente e Ad di Lilly Italia.