Derise donna ipovedente su Facebook: condannato. La Cassazione: “E’ diffamazione”

Gli "ermellini" danno ragione al Tribunale di Varese che così si era pronunciato in primo grado nei confronti dell'imputato, mentre la Corte d'Appello di Milano lo aveva assolto riqualificando il reato in ingiuria che nel frattempo è però stato abrogato

VARESE – E’ diffamazione il body shaming ai danni di una persona in un post su Facebook anche attraverso emoticon di dileggio. Lo afferma la Corte di Cassazione in una sentenza depositata nei giorni scorsi che affronta il caso di un imputato che ha offeso la reputazione di una donna ipovedente perché, è scritto nel dispositivo, “comunicando attraverso il social network e pubblicando opinioni in un post dedicato a problemi di viabilità di un Comune faceva espresso riferimento ai deficit visivi della parte civile con frasi come “Mi verrebbe da scrivere la lince, ma ho rispetto per la gente sfortunata” con più emoticon simboleggianti risate, “dileggiandola”. La vicenda giudiziaria è stata abbastanza complessa.

Il Tribunale di Varese aveva in un primo tempo condannato l’imputato per diffamazione a 800 euro di multa e 2.000 di risarcimento ma la Corte d’Appello di Milano lo aveva assolto riqualificando il reato in ingiuria che nel frattempo è però stato abrogato. Gli ‘ermellini’ hanno ora accolto la richiesta della parte civile di considerare l’episodio come una diffamazione “considerato che la condotta di chi prende in giro una persona per alcune caratteristiche fisiche comunicando con piu’ persone e’ senza dubbio un’aggressione alla reputazione di una persona”.