Dino Meneghin si racconta a tutto campo: “La vittoria nello sport non è un caso”

L'ex fuoriclasse del basket italiano, prima gloria varesina e poi milanese, ed ex presidente della Federazione Italiana Pallacanestro, intervistato da Marco Klinger, per Medicina Top, format tv dell'agenzia di stampa Italpress. Tutti i segreti della sua straordinaria longevità agonistica: una carriera da giocatore iniziata nel 1966 e conclusa nel 1994

VARESE – Da una parte un team di atleti, dall’altra un team di medici, fisioterapisti, nutrizionisti e psicologi. Nello sport, la vittoria non è un caso, ma è frutto di una preparazione lunga e accurata che riguarda il corpo e la mente. Nello sport di squadra, la preparazione riguarda il singolo e il gruppo, che deve imparare a funzionare insieme e a gestire le individualità, in modo da esaltare le caratteristiche di ognuno per il massimo risultato di tutti. Un massimo che si raggiunge solo quando i professionisti in campo e quelli a guardia della forma fisica e mentale sono ugualmente al top e in stretta connessione tra di loro: una squadra composta da due squadre. Sono questi soltanto alcuni dei temi trattati da Dino Meneghin, ex fuoriclasse italiano del basket ed ex presidente della Federazione Italiana Pallacanestro, intervistato da Marco Klinger, per Medicina Top, format tv dell’agenzia di stampa Italpress.

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“Ho iniziato con l’atletica leggera, facevo lancio del peso e del disco, ma mi mettevano in una angolo ad allenarmi da solo – ha raccontato – Scoprendo la pallacanestro, ho scoperto un mondo pazzesco, si giocava al chiuso, c’era questa confusione che era un caos organizzato. Lo sport di squadra ti insegna a gestire gli spazi e a rispettare quelli degli altri in uno spogliatoio, e poi a pensare allo stesso modo per raggiungere la vittoria, perché ognuno in una squadra fa un passo indietro per permettere a tutti di esprimersi al meglio. Al di là del fatto di giocare, vincere o perdere – ha aggiunto Meneghin – la cosa più importante sono i rapporti interpersonali che rimangono nel corso degli anni. L’amicizia è quel cemento che ti permette di vivere bene anche fuori dal campo”. Ed è fondamentale nello sport il tempo e la cura nell’allenamento: “Per vincere serve la solidità della società, poi una visione di come deve essere il futuro, il progetto e soprattutto il lavoro – ha spiegato – Puoi prendere i giocatori più forti, ma se non ti alleni duramente i risultati non vengono. L’allenamento è la parte più oscura ma anche quella più produttiva: se vai a vedere la partita vedi quello che c’è in campo, ma non immagini mai quanto lavoro c’è dietro per arrivare a quei livelli”.

Ignis Varese - Bob McAdoo presenta Dino Meneghin, prima di... | Facebook

“Ho sempre preferito stare in palestra che fuori a correre nei boschi – ha confessato Meneghin – La figura del preparatore quando ero a Varese è arrivata nel 1970, ci inculcarono la grande importanza della preparazione atletica, perché era chiaro che il gioco sarebbe divenuto sempre più fisico. Allenarsi col preparatore aiuta a fare meno fatica e a prevenire gli infortuni, se sei preparato fisicamente sei pronto ad affrontare i contrasti”. Meneghin, entrato a far parte nel 2003 della Naismith Memorial Basketball Hall of Fame di Springfield (Massachusetts), il maggior riconoscimento mondiale che un giocatore di pallacanestro possa ricevere, nel 2005 è stato anche insignito della carica onorifica di Cavaliere della Repubblica e la sua carriera è stata testimonianza di incredibile longevità: ha iniziato a 16 anni, ha chiuso a 44, disputando con la Nazionale italiana 4 Olimpiadi, due Campionati del Mondo e otto Campionati Europei. In 28 stagioni da professionista ha disputato 836 partite, primato assoluto, con 8.580 punti realizzati.

Basket challenge the great Dino Meneghin - CharityStars

“La mia longevità agonistica? Negli anni il lavoro è diventato sempre più difficile – ha sottolineato – Ho cominciato che ero il giocatore più alto e ho finito che ero il più piccolo. Quando invecchi, ti accorgi che le idee vanno più veloci delle gambe, quindi a quel punto bisogna metterci l’esperienza. Oltre al dna che il buon Dio mi ha dato, è stato importante aver trovato lungo la strada allenatori che mi hanno insegnato come affrontare la pallacanestro, con serenità, gioia, bellezza di giocare e passione, e poi il professionismo, come lavorare, come curare i dettagli, l’alimentazione e la vita privata, non eccedere mai. Ed è lì che subentra anche la figura del medico – ha spiegato – Il medico all’interno della squadra è visto come la seconda figura più importante dopo l’allenatore. Il medico è quello a cui ti rivolgi quando hai il più piccolo problema. La prima cosa che si fa è parlare col medico – ha concluso – Chiedere cosa si può fare in caso di infortunio, qual è il tempo di recupero e così via”.