È un’America che ha paura. «Il sogno vive la sua crisi»

Gianni Riotta e gli USA quindici anni dopo l’attentato

Un’America che ha paura. E sta vivendo una delle pagine più negative della sua storia.Solo così si può spiegare l’ascesa di Donald Trump, candidato repubblicano che sfiderà Hillary Clinton alle presidenziali degli Stati Uniti. Questo il ritratto del grande Paese quindici anni dopo l’attacco terroristico alle Torri Gemelle.

A condurci in un viaggio dentro l’America di oggi è , famoso giornalista e docente universitario, già direttore del Tg1, corrispondete per molti anni da New York e oggi residente in Usa per buona parte dell’anno.

L’America è profondamente cambiata, come tutto il mondo del resto. Prima di allora c’era una grande speranza di pace a livello globale, la collaborazione internazionale stava andando avanti in maniera positiva. Oggi, dopo quindici anni, ci ritroviamo in un clima da nuova Guerra Fredda, con l’avanzata della Russia e della Cina, e con la presenza della Corea del Nord. Siamo passati, insomma, da un clima di grande distensione alla situazione di oggi. Prima si credeva che la globalizzazione avrebbe prodotto e ridistribuito la ricchezza. Poi è arrivata anche la crisi che ha distrutto i posti di lavoro. L’America ottimistica ha lasciato il posto all’America piena di tensione, che si rispecchia nell’attuale campagna elettorale tra Donald Trump e Hillary Clinton.


La personalità di Trump è il punto centrale. Mai un partito americano, nemmeno il Partito Repubblicano, avrebbe candidato una personalità populistica all’europea, come è Trump. Se è riuscito ad emergere, è proprio a causa della crisi economica, della scontentezza di milioni di elettori bianchi impoveriti, che non hanno più la sicurezza che gli americani avevano in passato, ovvero che i loro figli avrebbero avuto un futuro migliore. Un rancore che non si annida solo negli elettori repubblicani, ma anche in quelli democratici. Ed è un malessere generalizzato.

Dire che il sogno americano stia venendo meno è un po’ prematuro. Per la prima volta una donna sta concorrendo a diventare presidente, e sono passati solo otto anni dal primo presidente nero. Diciamo che la naturalezza con cui finora era stato portato avanti il sogno americano oggi è in crisi. L’America come comunità deve ridare forza ai suoi ideali. Noi, come europei, dovremmo preoccuparci del sogno europeo, che dopo la Brexit rischia di finire.

Anche su questo punto gli europei hanno capito sempre poco dell’atteggiamento degli americani. La missione in Iraq è stata una forzatura di Bush e degli intellettuali neoconservatori. Si erano convinti bastasse una guerra leggera, invece non era così, e in America c’era questa convinzione. Da allora l’opinione pubblica è stanca della guerra, ma uscirne ha portato ad altri errori. La ritirata di Obama da un Iraq non stabilizzato ha contribuito alla nascita dell’Isis. E il non coinvolgimento nella guerra in Siria ha lasciato spazio all’intervento di Putin. E oggi la Russia sta riassumendo un ruolo nel Medioriente che non aveva più da decenni.


Trump avrebbe un atteggiamento probabilmente più tenero, alla Berlusconi. Sicuramente la Clinton sarebbe più dura.

Sono abituato ad esprimermi quando ci sono dati sufficienti. Ad oggi la Clinton è in vantaggio, ma non abbastanza da avere già vinto. E Trump non è così in svantaggio da avere già perso.

A me è rimasto impresso il giorno prima, la mattina del 10 settembre. Avevo accompagnato per il primo giorno di asilo mia figlia. E avevo conosciuto un altro padre. Avevamo parlato e lui poi mi aveva detto che ci saremmo aiutati, visto che lavoravamo tutti e due, per accompagnare i figli a scuola. Lui lavorava nelle Torri Gemelle, proprio nel punto dove ci sono stati più morti.