Fdi: “Multe fino a 100.000 euro per chi non usa l’italiano nella pubblica amministrazione”

La proposta di legge presentata dal vicepresidente della Camera Fabio Rampelli contro l'abuso dei termini stranieri da parte di enti ed erogatori di servizi. Secondo il partito di Giorgia Meloni: "Paradossalmente, la nostra lingua è più tutelata in Svizzera che da noi". Ecco tutti gli articoli di un'iniziativa che sta già facendo discutere

ROMA – “Una sanzione amministrativa consistente nel pagamento di una somma da 5.000 euro a 100.000 euro”. E’ quanto rischierà – secondo una proposta di legge presentata a Montecitorio dall’esponente di Fratelli d’Italia, Fabio Rampelli, con la firma di una ventina di deputati del suo partito – chi continuerà a macchiarsi di “forestierismo” linguistico, ovvero ad utilizzare termini non della lingua italiana innanzitutto nella pubblica amministrazione.

Il vicepresidente della Camera da tempo porta avanti la battaglia contro l’utilizzo di termini stranieri. Fdi ha anche presentato a novembre un ddl a palazzo Madama (firmatario il senatore Menia) per “costituzionalizzare” l’italiano come la lingua ufficiale della Repubblica. Lo stesso Rampelli aveva annunciato qualche mese fa l’intenzione di affiancare alla proposta di legge costituzionale una ordinaria che per obbligare tutte le amministrazioni partecipate dallo Stato a utilizzare l’italiano. Anche nelle scorse legislature l’esponente di Fratelli d’Italia aveva presentato dei testi per salvaguardare la lingua italiana e istituire un “Consiglio superiore” contro l’abuso di lingue straniere.

La proposta di legge nel dettaglio

Articolo 1: “La Repubblica garantisce l’uso della lingua italiana in tutti i rapporti tra la pubblica amministrazione e il cittadino nonche’ in ogni sede giurisdizionale”. Articolo 2: “La lingua italiana e’ obbligatoria per la promozione e la fruizione di beni e di servizi pubblici nel territorio nazionale”. Ovvero gli enti pubblici e privati “sono tenuti a presentare” in lingua italiana qualsiasi documentazione “relativa ai beni materiali e immateriali prodotti e distribuiti sul territorio nazionale”.

E ogni informazione presente in un luogo pubblico “ovvero derivante da fondi pubblici” deve essere trasmessa in lingua italiana. Inoltre, per ogni manifestazione, conferenza o riunione pubblica organizzata nel territorio italiano e’ obbligatorio “l’utilizzo di strumenti di traduzione” per garantire “la perfetta comprensione in lingua italiana dei contenuti dell’evento”. Articolo 4: “Chiunque ricopre cariche” all’interno delle istituzioni italiane, della pubblica amministrazione, di societa’ a maggioranza pubblica e di fondazioni “e’ tenuto” alla conoscenza e alla padronanza scritta e orale della lingua italiana, “le sigle e le denominazioni delle funzioni ricoperte nelle aziende che operano nel territorio nazionale” devono essere in lingua italiana. E anche i “regolamenti interni delle imprese che operano nel territorio nazionale” devono essere redatti in lingua italiana. Con l’articolo 5 si punta a modificare l’articolo 1346 del codice civile, ovvero diventa obbligatorio l’utilizzo della lingua italiana nei contratti di lavoro: “Il contratto deve essere stipulato nella lingua italiana”.

L’articolo 6 della pdl prevede che negli istituti scolastici di ogni ordine e grado e nelle universita’ pubbliche italiane “le offerte formative non specificamente rivolte all’apprendimento delle lingue straniere devono essere in lingua italiana”. Con l’articolo 7 si istituisce presso il ministero della cultura “il Comitato per la tutela, la promozione e la valorizzazione della lingua italiana nel territorio nazionale e all’estero”: sara’ presieduto da rappresentanti dell’Accademia della Crusca, della societa’ Dante Alighieri, dell’istituto Treccani, del ministero degli affari esteri, del ministero dell’istruzione e del merito, dell’universita’ e della ricerca, del dipartimento per l’editoria della presidenza del Consiglio e della Rai. Dovranno promuovere “la conoscenza delle strutture grammaticali e lessicali della lingua italiana”, l’uso “corretto della lingua italiana e della sua pronunzia” nelle scuole, nei mezzi di comunicazione, nel commercio e nella pubblicita’; l’insegnamento della lingua italiana nelle scuole di ogni ordine e grado e nelle universita’; “l’arricchimento della lingua italiana allo scopo primario di mettere a disposizione dei cittadini termini idonei a esprimere tutte le nozioni del mondo contemporaneo, favorendo la presenza della lingua italiana nelle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione”; nell’ambito delle amministrazioni pubbliche “forme di espressione linguistica semplici, efficaci e immediatamente comprensibili, al fine di agevolare e di rendere chiara la comunicazione con i cittadini anche attraverso strumenti informatici”. La premessa della pdl e’ che “la lingua italiana rappresenta l’identita’ della nostra Nazione”, e’ un patrimonio “ricevuto in eredita’ dal nostro passato e dalla nostra storia” e “dobbiamo imparare a considerarlo un bene comune”. La considerazione e’ che studiosi, esperti e istituzioni come l’Accademia della Crusca denunciano da tempo “il progressivo scadimento del valore attribuito alla nostra lingua”. L’uso di termini in inglese “e’ diventato una prassi comunicativa che, lungi dall’arricchire il nostro patrimonio linguistico, lo immiserisce e lo mortifica”. Ed ecco i dati: secondo le ultime stime dal 2000 ad oggi “il numero di parole inglesi confluite nella lingua italiana scritta e’ aumentato del 773 per cento: quasi 9.000 sono gli anglicismi attualmente presenti nel dizionario della Treccani su circa 800.000 parole in lingua italiana. Da un confronto tra gli anglicismi registrati nel dizionario Devoto-Oli del 1990 e quello del 2022, per esempio, si e’ passati da circa 1.600 a 4.000, il che porta a una media di 74 all’anno”.

Un vero e proprio “degrado” quello dei “foresterismi ossessivi” che rischiano “nel lungo termine di portare a un collasso dell’uso della lingua italiana fino alla sua progressiva scomparsa”. In Italia “non esiste alcuna politica linguistica, anzi, il linguaggio della politica, nel nuovo millennio, si e’ anglicizzato sempre di piu'”. Da qui l’esigenza di replicare gli esempi di Francia e Spagna che hanno adottato dei provvedimenti rendendo obbligatorio, tramite una modifica della Costituzione, dell’utilizzo della loro lingua madre, per esempio “nelle pubblicazioni del governo, nelle pubblicita’, nei luoghi di lavoro, in ogni tipologia di contratto, nei servizi, nell’insegnamento nelle scuole statali e negli scambi commerciali”. “La lingua italiana, paradossalmente, e’ piu’ tutelata in Svizzera che da noi. La Confederazione svizzera – il parere dei firmatari della pdl – rappresenta un modello di plurilinguismo molto avanzato cui guardare come esempio in relazione al monolinguismo internazionale imperante basato sull’inglese”. E questo “dominio internazionale della lingua inglese” risulta essere ancora “piu’ negativo e paradossale” poiche’ con la ‘Brexit’ “e’ uscita dall’Unione europea proprio la nazione da cui quella lingua ha avuto origine”. E dunque “in un’ottica di salvaguardia nazionale e di difesa identitaria diventa quanto mai prioritaria la conservazione della lingua italiana” si rende necessaria una legislazione che tuteli la nostra lingua perche’ – si legge ancora nel testo della proposta di legge – “chi parla solo l’italiano oggi rischia il fallimento dell’incomunicabilita’, ma il rischio ancora piu’ grande e’ che si perda la bellezza di una lingua complessa e ricca come la nostra”. L’articolo 8 tratta il trma delle sanzioni: “La violazione degli obblighi di cui alla presente legge comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa consistente nel pagamento di una somma da 5.000 euro a 100.000 euro”.