Gallarate, ecco perché trema Guenzani L’esproprio a Cedrate non fu mai definito

GALLARATE «Nessun decreto di esproprio è mai stato emesso». Sta scritto così nelle sentenze sul contenzioso che ha opposto il Comune alla famiglia Crespi. Ed è esattamente per questo motivo che oggi Palazzo Borghi si trova costretto a versare una somma che arriva a superare il milione e 600mila euro.

Sono tre i terreni di via Reina, a Cedrate, che l’allora amministrazione comunale espropriò per un intervento Peep, un piano di edilizia economica popolare. I decreti di occupazione d’urgenza, il primo passo verso l’esproprio vero e proprio, vennero emessi rispettivamente l’11 e il 31 gennaio del 1983 e il 27 febbraio del 1984.

A partire da queste date, il municipio avrebbe avuto tre anni di tempo per definire l’esproprio, emettendo il decreto e versando alla famiglia la somma dovuta per i terreni. Un periodo di tempo che, per effetto di norme intervenute nel frattempo, è stato prolungato. Nei fatti, entro il marzo del 1987 per i primi due appezzamenti ed entro il febbraio del 1990 per il terzo, il Comune avrebbe dovuto concludere la pratica.

Il punto è che – si legge nella sentenza della prima sezione civile della Corte d’Appello di Milano, pronunciata il 7 marzo 2000 – «nessun decreto di esproprio è mai stato emesso». Per questo motivo «a far tempo dalle suddette scadenze», rilevano i giudici, è «venuta meno la legittimità dell’occupazione».

Ora, l’ultima parola su questa vicenda è toccata alla Cassazione. La suprema corte, il 29 gennaio 2008, quindi 25 anni dopo la prima occupazione d’urgenza, ha licenziato una decisione che si basa anche sul Dpr numero 327 del 2001, che stabilisce come «nel caso di utilizzazione di un suolo edificabile per scopi di pubblica utilità», come appunto la costruzione di case popolari, «in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio alla data del 30 settembre 1996, il risarcimento del danno è liquidato in misura pari al valore venale del bene».

E qui iniziano i dolori per le casse comunali. Se infatti l’esproprio fosse stato perfezionato ai tempi, Palazzo Borghi avrebbe pagato, per i terreni, una cifra decisamente inferiore al reale valore di mercato di questi beni. Che è invece quello che la Cassazione ha imposto al Comune di versare.

Si tratta, rispettivamente, di 403, 166 e 195 milioni delle vecchie lire, cui se ne aggiungono altri 28 per un appezzamento rimasto di proprietà dei Crespi, ma di fatto ricompreso nel giardino delle case popolari. Lo stesso che il Comune oggi si prepara a permutare con la strada della Mezzanella.

In totale fanno 794 milioni che, in euro, diventano 410mila. Se a questi si aggiungono gli interessi, le rivalutazioni e le spese legali si arriva a quel milione e 600mila euro del quale si parla oggi. Con un’ulteriore beffa: il 4 marzo del 1982, dieci mesi prima dell’esproprio, la giunta aveva dato mandato all’allora sindaco Andrea Buffoni perché definisse l’acquisto di uno di questi terreni, il secondo ad essere occupato.

Il Comune, infatti, aveva trattato con i Crespi, che erano pronti a venderlo. La transazione, però, sfumò, il terreno venne occupato d’urgenza e Palazzo Borghi lo paga solo oggi. Aggiungendo, però, più di vent’anni di interessi.

Riccardo Saporiti

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