Giustizia, Milano saluta il giudice Salvini: dal terrorismo ai trapper, tutte le inchieste di un magistrato contro la casta delle toghe

A 70 anni il noto gip va in pensione dopo una vita professionale che ha attraversato la storia della città e del paese. Una figura scomoda che non ama il suo ambiente: ""Dopo il caso Palamara non è cambiato nulla. Io per prima cosa sposterei il Csm da Roma per ridurre le occasioni malsane di incontro. Per questo mi sono sempre tenuto lontano dalle correnti"

MILANO – Gli anni del lotta al terrorismo, ma anche l’inchiesta sul calcioscommesse e le indagini su criminalità, poi gli interrogatori dei giovani trapper che irrompono sulla scena musicale e giudiziaria. La vita lavorativa del giudice Guido Salvini, il cui nome è in gran parte legato a quello del Palazzo di giustizia di Milano, segue il corso della storia e dei tempi. Una figura carismatica lontana dalle correnti della magistratura, che non si è mai risparmiata opinioni anticonformiste e non ha mai smesso il suo impegno civico.

Laureato nel capoluogo lombardo nel 1978 è entrato in magistratura a soli 29 anni prima come giudice istruttore, poi come giudice per le indagini preliminari in inchieste in materia di terrorismo di destra e di sinistra e più recentemente di terrorismo internazionale. Nel suo curriculum vanta l’aver convinto, insieme ad altri colleghi, centinaia di giovani ad abbandonare la lotta armata e a reinserirsi nella società, ma tra i momenti “molto intensi” della sua carriera inserisce anche la scoperta dei responsabili dell’omicidio di Sergio Ramelli “che era una vittima serie B” – anche quest’anno ha partecipato alla commemorazione -, ma anche “l’impegno” per Fausto e Iaio “per i quali purtroppo non sappiamo ancora la verità”. Quarant’anni di lavoro e di impegno storico e culturale sui temi del giustizia e della ‘memoria’, il nome di Salvini si lega indissolubilmente alla strage di Piazza Fontana di cui ha curato l’ultima istruttoria che “ha consentito di dare una paternità storico-giudiziaria alla strage” del 12 dicembre del 1969.

Figlio d’arte, è stato Salvini il volto dell’inchiesta sul calcioscommesse a Cremona che coinvolse nomi di spicco di giocatori della Serie A, poi tornato a Milano si è occupato di indagini in materia di infiltrazione delle mafie del Nord, ma anche di indagini sulla Curva Nord e tra gli ultimi casi di rilievo mediatico anche dei trapper come Baby Gang e Simba La Rue. E’ stato consulente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle cause dell’occultamento dei fascicoli relativi alle stragi nazifasciste, sul sequestro di Aldo Moro e attualmente è consulente della Commissione antimafia. Dibattiti agli studenti, scrittura e impegno nelle commissioni parlamentari saranno i suoi prossimi impegni. Per ragioni di “indipendenza personale” non è mai stato iscritto ad alcuna corrente della magistratura, così come non si è mai interessato a incarichi direttivi. “Sono ruoli quasi sempre burocratici e quasi inutili. Mi è sempre interessato, invece, capire e intervenire sulla realtà della nostra città, fare qualcosa di utile, tentare di trasformare qualcosa di male in bene” dice. E mentre svuota la sua stanza al settimo piano del Palazzo di giustizia di Milano trova ancora del tempo per un consiglio ai giovani colleghi. “Credo siano molto preparati, ma non basta conoscere le sentenze della Cassazione, né fare bene i tre temi in un concorso per essere un buon giudice. Serve curiosità, conoscenza del mondo, sensibilità, capacità di parlare con gli avvocati e le parti e una cultura generale e spesso queste doti oggi sono insufficienti. Ho sempre cercato di avere cura dei processi piccoli come di quelli grandi che danno visibilità perché per l’imputato comune quel piccolo processo è il ‘suo’ processo” sottolinea. “Dopo il caso Palamara non è cambiato nulla, sono stati sanzionati solo coloro che erano presenti all’hotel Champagne e pochi altri ma il core business delle correnti è rimasto quello di sempre, un nominificio. Io per prima cosa sposterei il Csm da Roma per ridurre le occasioni malsane di incontro. Per questo io mi sono sempre tenuto lontano dalle correnti. Del resto penso che il lavoro del magistrato sia essenzialmente individuale, un esercizio di coscienza nel senso umanistico del termine e la presenza oppressiva di gruppi stabili di magistrati organizzati in partiti sia già di per sé una stortura” conclude il giudice Guido Salvini.