I miracoli e la realtà. Non c’è il tiro, passa Avellino

Quarta sconfitta consecutiva della Openjobmetis: a Masnago dopo un supplementare vince la Sidigas. Ai padroni di casa non bastano grinta, difesa e il “solito” canestro allo scadere di Kangur: da 3 è solo 4/20

I miracoli non bastano. Non salvano, non arrivano ad inquinare le verità, sanno scalfire l’oggettività ma non fino al punto di evitare che essa si prenda la rivincita alla resa dei conti.

No, non stiamo discernendo di quella che ormai è un’adrenalinica consuetudine sotto le volte del Lino Oldrini: anche ieri Kangur ha fatto sobbalzare tutti dai seggiolino al calar dei secondi, regalando un’altra volta ai “fedeli” del Tempio una piccola (ma effimera) gioia, un’altra speranza, un’altra – a conti fatti – illusione. No, non è la “zona Kristjan” – il tiro che ha fissato il pareggio dei regolamentari tra Varese- Avellino, culmine di una battaglia nervosa ma bella – il miracolo in analisi.

Ciò che ha davvero il sentore dell’ultraterreno è come abbia fatto la squadra di Paolo Moretti a restare in partita contro i quotati avversari (che con la vittoria di Masnago fissano sulla pietra un’apertura di stagione da 8 successi e una sola sconfitta) scrivendo a referto un’altra oscena prestazione balistica. Oltre i 6 metri

e 75 centimetri, là dove nella pallacanestro europea moderna si decide la maggior parte delle fortune e delle sfortune di chi si esibisce sui parquet, la Openjobmetis ha ancora una volta totalizzato una percentuale inferiore al necessario, nella fattispecie un 4/20 che conta anche del “solito” tiro allo scadere della sua ala estone.

Ancora qualche riga è arriveremo – abbandonando il trascendentale – a descrivere i fatti che hanno permesso la resistenza sotto al Sacro Monte contro l’armata del generale Sacripanti, ovvero una difesa generosa e ben preparata, la prestazione “monstre” di Pelle, la guida di capitan Cavaliero, l’attacco alle plance senza soluzione di continuità di Eyenga e le saltuarie accelerazioni di Maynor. Ancora qualche battuta e scriveremo degli episodi (le perse sanguinose di Avramovic, il fallo in attacco – inesistente – dello stesso Kangur nel supplementare, la “bomba” – troppo comoda – lasciata a Thomas, i cesti sbagliati da sotto, i liberi buttati via in sequenza nel primo tempo, la battaglia a rimbalzo a sua volta buttata via nei secondi venti minuti), dettagli che in un match punto a punto arrivano a fare la differenza, quantomeno quella aritmetica.

Se tuttavia si vuole guardare alla luna e non al dito, bisogna rimanere forzosamente sul conto delle padelle tirate da oltre l’arco, cifra stilistica di un attacco con conclamati problemi di pericolosità. L’aspetto più preoccupante non è tanto (o, meglio, non è solo) un Melvin Johnson da 2 punti e 0/3 da tre, per l’ennesima volta totalmente impalpabile nel contributo offensivo, quanto constatare che i tiri da fuori sbagliati, ma costruiti bene, da Eyenga e compagni si contino sulle dita di una mano. Varese non ha tiratori? Varese non li arma, piuttosto: nei 45’ contro la Sidigas, così come in tutte le ultime sconfitte, si ricordano quasi solo delle conclusioni dalla lunga prese fuori ritmo e nei secondi scemanti delle azioni. Le ragioni? Molteplici e da capire fino in fondo se si vuole risolvere la questione: manca una “sponda” interna che liberi un poco la pressione sull’arco, manca un sistema di uscite dai blocchi efficace, manca il ritmo dei passaggi, mancano i tagli fatti con il tempo giusto. Manca un gioco fluido. E non può essere solo colpa di Maynor e della sua condizione fisica.

Peccato. Peccato perchè la Varese alla quarta sconfitta di fila mette in mostra finalmente carattere, riscattandosi in termini di grinta dopo le pesanti debacle senza reazione contro Neptunas e Pistoia. Peccato perché il tanto vituperato playmaker nativo di Raeford contro Green e sodali prova ad alzare il numero dei suoi giri, risultando efficace per sé e per gli altri. Peccato per il gigante dalla faccia imberbe ma cattiva, nato sotto il sole dei Caraibi: la partita di Norvel Pelle ha del clamoroso, per i numeri (12 punti, 13 rimbalzi, 3 stoppate) e per l’assenza totale di paura nell’affrontare i pesi massimi Cusin, Fesenko e Leunen. Senza Anosike la Openjobmetis non ha affondato sotto canestro: lo deve a lui.

Cavaliero è un tracciatore di sentieri per grinta e leadership, Eyenga un animale da contropiede, Avramovic un talento che ti fa spellare le mani per quello che fa e te le fa mangiare per quello che disfa, Kangur, al di là dei suoi “buzzer beater”, ha mostrato progressi in attacco e dettato legge in difesa. Peccato: non è bastato. Nemmeno a guardare per una sera il dito, con la dolce convinzione che fosse la luna.