I rifiuti diventano dei giocattoli La bella storia di “Aquapotabile”

Costruire giocattoli utilizzando i rifiuti come materia prima. Succede a Carnago, dove ha sede Aquapotabile, uno studio di design dietro al quale c’è un claim ben preciso: «idee spazzatura».

Così uno dei figli dei due titolari e , compagni nella vita prima che in ufficio, ha descritto l’attività che si svolge all’interno degli spazi che ospitano l’azienda in via Verdi.

«La nostra missione è ridurre», spiega Castiglioni, «nel mondo occidentale ogni individuo produce 926 grammi di rifiuti al giorno. Diciamo che invertire questa tendenza è inevitabile». Per i due designer carnaghesi si tratta innanzitutto di uno stile di vita. «Evitiamo di acquistare giocattoli per i nostri figli, se non in rare occasioni, e anche per l’arredamento andiamo in discarica, recuperiamo e rimodernizziamo dei prodotti che invecchiano». Atteggiamento che affonda le sue radici nella cultura giapponese, per la quale «la vetustà di un oggetto lo rende unico». E se ci sono un difetto o una crepa «invece di nasconderli, cerchiamo di valorizzarli».

Stile di vita che i due hanno trasformato in una professione. Così è nato “5contro5”, un gioco in stile Subbuteo dove il campo è realizzato in carta paglia e viene spedito all’interno di un tubo. Mentre i giocatori stanno su una cartolina fustellata, sulla quale basta applicare il francobollo e infilarla nella buca delle lettere. Una volta ricevuta, servono quattro cannucce e dieci tappi di una bottiglia di plastica per completare l’opera. Oltre a un po’ di carta stagnola, ovviamente già usata, per realizzare il pallone. Ma questo è solo uno dei prodotti inventati da Aquapotabile.

C’è Taranta, una lampada che ricorda un rango costruita con vecchi attaccapanni di metallo, Wastevagen, macchinina giocattolo costruita sfruttando le linee sinuose delle confenzioni di detersivo. Il discorso vale anche per l’abbigliamento: Lino è il grembiulino per i bimbi dell’asilo prodotto cucendo insieme scarti di tessuti di lino e cotone utilizzati nella produzione di camicie.

Ci sono tutti gli ingredienti, insomma, per definire Aquapotabile come un’azienda ’green’. Etichetta che i due titolari, però, rifiutano: «noi siamo blue, perché questo è il colore della sostenibilità», spiega Castiglioni, «il nostro è il pianeta blu, elementi fondamentali come l’acqua e l’aria, nell’immaginario, sono associati all’azzurro».

Non è una mera questione cromatica: «noi siamo in un acquario nel quale le risorse non sono infinite». Per questo non è possibile pensare che sia in grado di sostenere uno sviluppo infinito. E allora i due designer hanno deciso di utilizzare l’unica materia prima presente in Italia oltre al marmo: l’immondizia.

L’azienda è nata lo scorso anno. «La difficoltà è stata quella di rendere seriale l’idea di produrre qualcosa partendo dai rifiuti». Superato l’ostacolo, hanno cominciato a vendere su alcuni negozi on-line. Entro Natale Aquapotabile dovrebbe però riuscire a lanciare uno store sul proprio sito.

E intanto si lavora a nuovi progetti, anche grazie agli studenti di architettura che svolgono uno stage in via Verdi. «Noi li affianchiamo nella fase progettuale e mettiamo i prodotti sul mercato. Salvo un rimborso spese per noi, poi il guadagno è tutto loro».

Un’altra declinazione del verbo che sta alla base di Aquapotabile: «il design non dovrebbe essere il braccio estetico dell’industria, deve riprogettare dei mondi». Cominciando col preservare l’unico che l’umanità abbia a disposizione.

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