Il cavalcavia di Lecco è uno schiaffo a chi pensa di vivere in un Paese evoluto

Un cavalcavia che cede sotto il peso di un camion e crolla sulla strada schiacciando e uccidendo chi ci stava passando sotto, è tante cose insieme.

È uno schiaffo in faccia a tutti noi che, per qualche istante, mentre ascoltavamo la notizia abbiamo immediatamente pensato «Beh, sarà successo giù al Sud». Per poi accorgerci che no, era capitato a una manciata di chilometri da qui, su una delle strade più trafficate d’Italia, su quella strada che abbiamo percorso tante volte.

È un inno alla casualità e alla consapevolezza di una vita regolata da assurde congiunture. La macchina prima è passata, quella dopo ha fatto in tempo a frenare, quella in mezzo no: si è vista piombare addosso tonnellate di acciaio, ferro, asfalto e morte.

È la vergogna dello scaricabarile tra Anas e Provincia, a rimpallarsi accuse e responsabilità mentre i soccorritori stavano ancora lavorando e le macerie fumavano.

È lo schifo di un Paese massacrato e castrato da una roba brutta chiamata “burocrazia”: che tarpa le ali, che spegne i sogni, che ruba il futuro e che inventa ogni volta un modo diverso per uccidere e seminare morte.

Il cavalcavia di Lecco è il nostro terremoto, una tragedia che solo per un miracolo non è stata una strage, una ferita aperta. Il cavalcavia di Lecco è una beffarda risata in faccia di chi pensa ancora di vivere in un paese evoluto. Ammesso che ci sia ancora qualcuno capace di vivere con questa illusione.