Il profondo biancorosso è collettivo. L’attacco non esiste, la difesa pure

Nel grigiore generale l’unica menzione d’onore è per Cavaliero. Le pagelle di Fabio Gandini

Fuori partita dall’inizio alla fine. E se deve valere un dato, si prenda quello dei rimbalzi: un “bulimico” di carambole come lui a Pistoia ne cattura solo 5 in 18 minuti. Moretti gli preferisce di gran lunga Campani (non con chissà quali risultati, tuttavia…), perché il nostro viene continuamente maltrattato da Magro e Crosariol. Ci sta che non sia pericoloso in attacco (eufemismo: ieri 3 punti): è preoccupante che sia un telepass dietro.


Non ha in mano la squadra, non dà leadership, non incide. Anche quando riesce a battere la prima linea difensiva dei padroni di casa, si trova spaesato e indeciso sul da farsi: a chi la passo? Nell’attacco biancorosso le spaziature giuste, quelle che servirebbero a creare pericolosità, latitano in maniera clamorosa: e lui, anche oltre i suoi demeriti, diventa inutile e si demoralizza.

Un punto in più degli altri solo per la consueta “garra” con cui entra in campo. Stavolta, tuttavia, la presa elettrica serba va presto in corto circuito: spuntato da fuori (0/4), bloccato – dopo il promettente inizio – pure nelle folate in penetrazione. Anche lui, così come il collega Maynor, viene violentato difensivamente dai giochi a due dei toscani.

Saltare non basta, ragazzo: gli avversari imparano presto ad aggirarti e a segnare lo stesso, anche se si tratta di onesti mestieranti del gioco. I sette rimbalzi non riescono a salvarlo.

Meriterebbe una sufficienza più che abbondante, in altre circostanze. Perché – al netto dei tanti problemi difensivi accusati contro Cournooh – è l’unico, davvero l’unico, che ci mette l’anima. Da buon capitano. Quando si perde di 33 a Pistoia (non all’Oracle Arena), però, non si può promuovere nessuno.

Impotente, come tutti quelli che vestono la maglia rossa. In retroguardia è meno imbarazzante dei colleghi di reparto, ma nel complesso sembra perdere un’altra occasione per mettere una vera impronta su un match. Trattasi di peccato grave per chi parte di rincorsa.

Pronti via e gli vedi fare due difese delle sue su Boothe. E speri che, tutto sommato, il buongiorno si veda dal mattino. Poi l’estone sparisce letteralmente dal radar: lo ritrovi sul referto alla fine, convincendoti così che abbia giocato davvero e che tu non ti sia sognato le due azioni iniziali.

Non segna mai. Mai. Mai. Mai. Mai.

Non segna mai. Mai. Mai. Mai. Mai (seconda versione). I 10 punti a tabellino quando non conta più nulla non valgono, appunto, nulla. Ah: a differenza di Eyenga, Johnson non difende nemmeno.