Il “Rambo” di Cardano voleva nascondersi sui monti

Non solo il sindaco Laura Prati e il vicesindaco Costantino Iametti, ma anche il giudice Toni Novik, che l’aveva condannato, la toga rossa Ilda Bocassini e una giornalista de La Prealpina. Erano questi, secondo un “manifesto” trovato a casa di Giuseppe Pegoraro, gli altri obiettivi contro cui il “Peg” voleva abbattersi. Un foglio delirante, scritto a mano dall’uomo, in cui si inveiva contro le toghe rosse e contro chi,

secondo Pegoraro, era responsabile della sua sospensione dal lavoro. Stranamente, però, Laura Prati e Costantino Iametti non erano elencati nel documento come “elementi sensibili”. Nel corso dell’interrogatorio che si è tenuto ieri in Procura l’ex vigile ha spiegato di non aver agito con l’intento di uccidere, ma solo di spaventare i due amministratori locali. La molotov nella sede del sindacato era un diversivo mentre l’obiettivo finale, secondo quanto raccontato ieri al sostituto procuratore Nadia Calcaterra, era quello di ritirarsi sulle montagne della zona di Luino. Gli 800 proiettili, i fucili e i coltelli? Portati solo per difendersi e non per colpire altre persone. Una tesi, quindi, in contrasto con quanto scritto nel “manifesto” trovato nella casa dell’uomo. Pegoraro ha anche raccontato di essersi pentito di aver sparato contro la Polizia. Se la fuga in montagna non fosse riuscita, avrebbe simulato una reazione per farsi uccidere dalla Polizia. «Sono cristiano e cattolico e quindi non mi suicido». Avrebbe confidato al sostituto procuratore. I motivi del folle gesto? Il sentirsi perseguitato, da tanti anni, sul posto di lavoro. Venerdì dovrebbe tenersi l’interrogatorio di garanzia.

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